Giovedì 23 novembre - Ore 21:00
Norman è un navigato affarista di New York alla disperata ricerca di
attenzioni e amicizie che possano cambiargli la vita. La sua è una corsa
continua a soddisfare i bisogni degli altri nella speranza di trovare un
giorno rispetto e riconoscimento da sempre desiderati. Quando viene eletto
Primo Ministro un uomo a cui anni prima Norman aveva fatto un favore, quel
giorno che tanto aveva desiderato sembra finalmente arrivato. Ma sarà
davvero come lo immaginava?
Regia: Joseph Cedar
Interpreti: Richard Gere, Michael Sheen, Steve Buscemi, Charlotte Gainsbourg, Josh Charles, Dan Stevens, Lior Ashkenazi, Harris Yulin
Sceneggiatura: Joseph Cedar
Fotografia: Yaron Scharf
Montaggio: Brian A. Kates
Musiche: Jun Miyake
Durata: un'ora e 58 minuti
"Non è un personaggio simpatico Norman Oppenheimer (...). È appiccicaticcio, invadente, ai limiti dell'untuoso. Veste senza eleganza, con quella borsa sempre a tracolla, la coppola calcata in testa, la sciarpa a ripararlo dal freddo newyorkese. Anche i capelli sono troppo lunghi, lontani dai tagli alla moda. A noi italiani può ricordare certi personaggi di Sordi, con la loro contagiosa sgradevolezza, che ti fanno star male perché intuisci i loro errori, che stanno per ficcarsi in un pasticcio o in un vicolo senza uscita. (...) Curioso scegliere un personaggio così come eroe di un film, perché invece dell'empatia scatta la voglia di tenerlo a distanza. E all'inizio del film sembra quasi che la regia di Joseph Cedar si diverta a farci vedere solo le sue gaffe, i suoi vani sforzi, le mancanze di tatto e di sensibilità (...). Che ci fa Richard Gere in un personaggio così? Eppure, dopo un po' le cose cambiano, il film (e con lui il personaggio) prende un altro ritmo, la storia si fa più accattivante e 'L'incredibile vita di Norman' svela quello che nascondeva: una riflessione senza infingimenti ma anche senza pregiudizi sul mito dell'«ebreo cortigiano», il suo bisogno di prodigarsi per gli altri perché così trova giustificazione ai propri occhi per la propria ambizione e la propria natura, vertiginoso aggiornamento del monologo shakespeariano (...) ai tempi della finanza e della politica. E la prova di Richard Gere cresce esponenzialmente, come quella di un piccolo, moderno Shylock, la cui tragicità non discenderà più dal confronto con la freddezza della giustizia o con la sete di vittoria (come invece fanno i suoi «nemici»), ma piuttosto dalla capacità di superare proprio quelle tentazioni con un gesto di generosità che fino a quel punto non avresti immaginato. Ancor più folgorante perché acceso da un inaspettato ribaltamento, capace di illuminare retrospettivamente e positivamente le tante ambiguità che si erano accumulate prima. (...) la forza del film, e la sua giustificazione, è anche nell'aver evitato ogni possibile schematismo morale (...) Per il suo primo film in lingua inglese, il regista Joseph Cedar (che è nato a New York ma è cresciuto a Gerusalemme e che fino a ora aveva girato solo in lingua ebraica) non ha voluto far sconti a nessuno, né al ricco mondo della finanza, né a quello non meno astioso della sinagoga né tanto meno a quello della politica (alcune scene si svolgono nella Knesset, a Gerusalemme). La storia, i personaggi gli servono per raccontare quel mondo identitario ma anche aspirazionale e insieme totalitario - l'universo dell'ebraitudine - che tutto pensano di conoscere e che forse nessuno, nemmeno gli stessi interessati, conoscono veramente e che l'«incredibile vita» di Norman racconta con sensibilità e originalità." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 25 settembre 2017)
"Film interessante e originale sotto più punti di vista. (...) Gere si carica di un personaggio tra i più belli degli ultimi tempi: un loser trascurato e goffo, specie di moderno Shylock che fa il lavoro sporco per i potenti mediando favori per chi non vuole chiederli da sé. Affascinato dal potere e destinato a sperimentarne la crudeltà sulla propria pelle. Gere gli regala un'ottima interpretazione. Quanto a Joseph Cedar, la sua regia d'impostazione teatrale è movimentata da schermi invisibili che convocano nella stessa inquadratura personaggi distanti nello spazio." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 28 settembre 2017)
"Una minicommedia newyorkese alla Woody Allen, ma senza Woody Allen. L'approccio indurrebbe subito allo scetticismo, se non fosse che «L'incredibile vita di Norman» si fa ovviamente notare ed eventualmente scegliere perché il protagonista si chiama Richard Gere. Attenzione, però, qui non si tratta dell'ennesima prestazione portata a termine col pilota automatico, bensì di una delle migliori interpretazioni di sempre del magnifico sessantottenne: mentre la trama oscilla sin troppo tra rapsodici capitoletti improntati alla farsa e al sogno, la bonomia e l'ironia, lo smarrimento e la tragedia, l'attore costruisce con estrema accuratezza e altrettanta scioltezza l'identikit di un personaggio importante, di quelli, cioè, che nel corso della medesima sequenza ami e poi disprezzi o viceversa. (...) Il film (...) non è un granché, le frecciatine politiche al di qua e al di là dell'Oceano sono spuntate e anche il colpo di scena finale è alquanto telefonato, ma la confezione tirata via col minimo del necessario garbo è, come premesso, via via sempre più ravvivata da uno dei più sorprendenti Gere che si ricordino. Non solo resta sottilmente fascinoso a dispetto del truccatore e il costumista, ma si destreggia sul filo dell'ambiguità di sentimenti e comportamenti come riesce solo ai sommi acrobati della recitazione." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 28 settembre 2017)
"Uno sfumato, calibratissimo Richard Gere conferisce al personaggio misteriosa, ambigua umanità; e il cineasta israelita/americano Joseph Cedar provvede a inquadrarlo nella cornice dell'Upper West Side, contornandolo di un ottimo cast e dimostrando buona conoscenza dei complessi rapporti fra Tel Aviv e l'establishment ebraico newyorkese. Ma per capire il vero senso del film bisogna andare alla parabola che corre sotto la superficie. Parabola giocata sui personaggi bifronti di Norman e Micha, che lascia emergere essenziali temi identitari: volontà individuale e ironia del fato, desiderio di integrazione e sentimento di appartenenza, attitudine al compromesso e aspirazione all'assoluto. Cedar sceglie una chiave quasi onirica di racconto, laddove sarebbe stato più incisivo spingere il tasto brechtiano evocato dalle musiche alla Kurt Weill di Jun Miyake: e tuttavia, a dispetto del fatto di non essere sempre all'altezza delle ambizioni, il film possiede un che di denso e intrigante." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 28 settembre 2017)
"(...) il dramma politico di Joseph Cedar impressiona per il suo cast di stars in cerca d'autore. A cosa serve questo parterre di nomi? Per prima cosa, a tenere insieme una sceneggiatura rammendata e vacua. Missione ovviamente fallita: ché non c'è niente di più imbarazzante di un gruppo di eccellenti attori che pedala nel vuoto. Certo, si potrebbe dire che l'erranza è l'idea stessa del film: il fixer non ha fissa dimora. Passa da un luogo ad un altro, da una conversazione ad un altra, cercando senza riposo di connettere un problema a una soluzione. Norman è una connessione, senza esistenza propria. E lo stesso finisce per dirsi di 'L'incredibile vita di Norman', e del suo infaticabile affaccendarsi a mettere insieme una scena con la successiva, fino a che il colpo di teatro interrompa il supplizio. Il regista, Joseph Cedar, è di quelli che pensano che un film su un personaggio fastidioso e imbarazzante debba essere a sua volta tale. Ma il difetto principale del suo film non è tanto nel soggetto, irritante ma innocuo, quanto nella cornice, la quale dà per scontato che in Israele esistano e abbiano una qualche chance di essere eletti primo ministro dei politici pragmatici, pronti a «discutere con tutti», per trovare la pace. Pura ideologia." (Eugenio Renzi, 'Il Manifesto', 28 settembre 2017)
"Vagamente ispirato alla figura storica di Joseph Süss Oppenheimer (1698-1738) e diviso in quattro atti dalle didascalie d'apertura ironiche, il film di Cedar ci propone un vecchio Gere imbruttito (orecchie a sventola) in cerca dell'Oscar (potrebbe arrivare la nomination) anche se il suo personaggio è troppo abbozzato per diventare realmente tragico." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 28 settembre 2017)
"Non fosse totalmente aritmico, il quinto lungo del talentuoso israeliano Cedar (potenti i suoi precedenti 'Beafourt' e 'Footnote') sarebbe un film magnifico; peccato si trovi a indugiare nel periplo delle 'House of Cards' in salsa giudaica senza tuttavia mutuarne la forza drammaturgica. Richard Gere però colpisce al cuore per la bravura." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 28 settembre 2017)
"Il film parte in salita, nel senso che ci metterete almeno dieci minuti per entrare nell'ordine delle idee e capire di cosa tratti il soggetto, sommersi da frenetiche informazioni sul lavoro del protagonista, decisamente più confusionarie che utili. Tenete duro perché, pagato lo scotto iniziale e prima di rimpiangere i soldi sborsati per il biglietto, entrerete in un meccanismo coinvolgente che vi sedurrà fino ad un finale non scontato. Molto del merito di tutto questo va a un ritrovato Richard Gere che, contingentato il suo solito campionario di occhi strizzati, conferma, una volta di più, di essere un signor attore. Talmente bravo che finirete per prendere a cuore le peripezie del suo Norman Opphennaimer (...) Un film a metà tra commedia e dramma, che prende in giro gli ebrei (dal politico al rabbino), ma senza cattiveria. Sarebbe limitante, però, ascrivere la pellicola solo a questo. In realtà, è un bel ritratto umano, ottimamente scritto, delicato, che potrebbe rappresentare il manifesto di una generazione che si è dovuta «improvvisare» per sopperire alla crisi occupazionale. Con finale spiazzante." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 28 settembre 2017)