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Fai bei sogni

Fai bei sogni

Giovedì 9 febbraio 2017 - Ore 21:00

Fai bei sogni - Trailer italiano ufficiale

è la storia di una difficile ricerca della verità e allo stesso tempo la paura di scoprirla. La mattina del 31 dicembre 1969, Massimo, nove anni appena, trova suo padre nel corridoio sorretto da due uomini: sua madre è morta. Massimo cresce e diventa un giornalista. Dopo il rientro dalla Guerra in Bosnia dove era stato inviato dal suo giornale, incontra Elisa. La vicinanza di Elisa aiuterà Massimo ad affrontare la verità sulla sua infanzia ed il suo passato.

Regia: Marco Bellocchio

Interpreti: Valerio Mastandrea, Bérénice Bejo, Fabrizio Gifuni, Guido Caprino, Barbara Ronchi, Miriam Leone, Nicolò Cabras, Dario Dal Pero , Arianna Scommegna, Bruno Torrisi, Manuela Mandracchia, Giulio Brogi, Emmanuelle Devos, Roberto Di Francesco, Fausto Russo Alesi, Pier Giorgio Bellocchio, Piera Degli Esposti, Roberto Herlitzka

Fotografia: Daniele Ciprì

Montaggio: Francesca Calvelli

Musiche: Carlo Crivelli

Durata: due ore e 14 minuti

Ingresso: 4.00 € - Il costo del biglietto

Biglietti esselunga Prendi sei e paghi cinque - Tessere a scalare

cinematografo.it - Fondazione ente dello spettacolo ***1/2- Il pretesto è il libro autobiografico di Gramellini. Ma Bellocchio ragiona (ancora una volta) sulla mistificazione della realtà. Di un intero paese

C’era molta curiosità attorno al nuovo, “velocissimo” film di Marco Bellocchio. Velocissimo perché mai come questa volta arriva (l’anteprima mondiale alla Quinzaine del Festival di Cannes a maggio scorso) a così breve distanza dal precedente (Sangue del mio sangue, in concorso a Venezia nel settembre 2015), curiosità perché – come da titolo – si basa sul romanzo omonimo, e di successo, di Massimo Gramellini, vicedirettore de La Stampa, dal 1999 firma del “Buongiorno”, corsivo di ventidue righe in prima pagina a commento di uno dei fatti della giornata, nonché presenza fissa nella trasmissione di Fabio Fazio, su RaiTre, Che tempo che fa.

Che cosa può aver convinto il regista di (tra gli altri) I pugni in tasca, L’ora di religione, Buongiorno, notte, Vincere, a portare sullo schermo la storia di un uomo che, a 9 anni, perse la madre, scoprendo solamente a distanza di molti anni, ormai adulto, come morì davvero? È una domanda legittima, che accompagna la visione per l’intero corso del film che, in due ore e dieci minuti, ci racconta la vita di Massimo (Nicolò Cabras da bambino, Dario Del Pero da teenager, Valerio Mastandrea da adulto) dal 1969 ai giorni nostri. Dal rifugio in Belfagor (antieroe che in quegli anni popolava la tv di stato con la famosa miniserie arrivata dalla Francia) all’indomani della dolorosa perdita, passando per la ricerca ossessiva e adolescenziale nella Fede, finendo nel disincanto e nel distacco con cui poter affrontare un mestiere, quello del giornalista, che lo porta prima ad occuparsi di calcio e sport, poi di guerra (nel ’93, in prima linea per il conflitto dei Balcani), poi – in maniera del tutto inaspettata – a diventare “confidente” per i numerosi lettori che mandavano lettere al giornale.

È un film su un uomo mai riconciliato con se stesso e con gli altri, Fai bei sogni? Sì, naturalmente, ed è anche un film su un orfano che, per troppi anni, non ha mai saputo (o voluto capire) come e perché fosse morta l’amata madre, a soli 38 anni. Ma come sempre, nel cinema di Bellocchio, il pretesto narrativo che tiene a galla, in superficie, il racconto, serve a qualcos’altro, a qualcosa di più. Serve per farci identificare con la figura di un personaggio “addormentato” (si pensi anche a Bella addormentata, altro lavoro che partendo da una storia reale, quella di Eluana Englaro, raccontava molto di più sul nostro paese), ad un bambino che, nel sonno, viene salutato per l’ultima volta dalla mamma con ”fai bei sogni”, ad un uomo che, crescendo, nella nostalgia e nel ricordo, nella commemorazione e nella disillusione, racchiude le caratteristiche di una popolazione ipnotizzata e schiava, raggirata e vinta.

La nostalgia e la commemorazione, come quella per il Grande Torino schiantatosi sulla collina di Superga, la mistificazione (sì, anche e soprattutto quella delle immagini, come nel frammento relativo a Sarajevo, con il fotografo interpretato da Pier Giorgio Bellocchio che sposta il bambino sulla sedia intento a giocare con un videogame per frapporlo tra l’obiettivo della sua macchinetta e il cadavere insanguinato di una donna), le bugie (quelle “a fin di bene”, quelle di Stato, quelle di religione), il tramonto del (nuovo) miracolo italiano, con Tangentopoli e la fine della Prima Repubblica, l’alba di un altro, incredibile inganno.

Un tuffo è un tuffo, alla fine. Quello che conta è sapere per tempo se il corpo troverà l’asfalto, o l’acqua. Perché da quest’ultima è possibile riemergere, e tornare a respirare. Allora sì, forse, sarà anche possibile continuare a sognare. Liberarsi dell’inganno, prendere consapevolezza. Ritrovare quel qualcosa che si era andato a nascondere troppo bene e, insieme, nascondercisi a sua volta per provare a guardare un po’ più in là. Oltre.

Come ancora una volta il cinema di Bellocchio ci invita a fare, seppur attraverso momenti e situazioni che lì per lì possono apparire accessori, di troppo, “già visti”. E sentiti. Perché la menzogna, più di qualsiasi altra cosa, ha bisogno di ripetersi. Di sedimentarsi. Di farsi abitudine. E per aprire gli occhi, per risvegliarci, magari può bastare una telefonata nel cuore della notte. O un film (solo apparentemente) mortifero ma così tremendamente stratificato del solito, grande, regista di Bobbio. (Valerio Sammarco)

Fai bei sogni

La critica

"Massimo Gramellini è uno dei giornalisti italiani di maggior notorietà della sua generazione (...). 'Fai bei sogni' (...) diventa fenomeno editoriale nel 2012. E' la confessione autobiografica del dolore per la perdita della mamma a soli nove anni e di quanto questo dolore abbia pesato sulla sua vita. Marco Bellocchio (come ha dichiarato lo stesso regista), ha trovato nel libro qualcosa che lo ha toccato. La figura materna, l'incombere di tragedie familiari, sono motivi che Marco porta con sé, nella sua opera, fin dal suo fulminante 'Pugni in tasca' del 1965, aspro e dissacrante, bandiera di ribellione. E, nonostante una sensibilità molto diversa, ha ritenuto di poter tradurre il libro in un proprio film, adattandolo a sé. Valorizzando il sentimento di rabbia che Massimo porta con sé. (...) Ma il film non prende mai il volo. Lascia l'impressione che il movimento non sia stato da Gramellini verso Bellocchio ma l'inverso. Sono rare le zampate riconoscibili del suo stile. (...) Spie, se non prove, sono una certa mancanza di misura (anche nella durata del film) e il fatto che alcuni passaggi ricchi di potenzialità emozionanti non riescano a decollare. (...) Il fatto è che quella di Gramellini è la testimonianza autobiografica di un uomo comune. Senza offesa nel senso che non è la trasfigurazione di un artista. Quella che Marco Bellocchio, con tutti i ben superiori titoli che possiede, appesantito dal punto di partenza che ha scelto, è riuscito a realizzare solo parzialmente nella scelta di un interprete (Valerio Mastandrea) lontano da ogni tentazione mimetica." (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 10 novembre 2016)

"Cinquant'anni dopo aver metaforicamente ucciso la madre nel ribellistico 'I pugni in tasca', Bellocchio chiude i conti con i suoi demoni interni ispirandosi a un romanzo, 'Fai bei sogni', scritto da Massimo Gramellini sull'esigenza opposta di esorcizzare il trauma della perdita della mamma, scomparsa lui bambino; e di riconciliarsi con quell'evento che ha gravato a lungo sulla sua vita. Nel rievocare l'epoca dell'infanzia il film è riuscitissimo, poetico e personale (...) delizioso Nicolò Cabras (...); mentre gli anni adulti (...) risultano più generici. Se il libro, costruito sull'io narrante, gioca con coerenza il personaggio in una chiave di autoironia intesa ad alleggerire il dramma, il Massimo sullo schermo, nonostante la scarnificata interpretazione del bravo Valerio Mastandrea, trova solo a tratti un convincente centro emozionale. Ma parliamo comunque di un film firmato, intenso, formalmente impeccabile, insomma da vedere." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 10 novembre 2016)

Fai bei sogni

"Piacerà perché Bellocchio a 77 anni rimane (anzi è più bravo ora) un fior di regista. Qui gli exploit di bravura li compie quando riesce a passare dagli amarcord ai tormenti contemporanei con indicibile grazia. E così gli perdoniamo per l'ennesima volta l'incapacità (più che quarantennale) di «non» elaborare i suoi personali lutti e anzi di trasfonderli (come se il lutto fosse sangue) in ogni suo film." (Giorgio Carbone, 'Libero', 10 novembre 2016)

"E' il tema della perdita la chiave usata da Bellocchio per trasporre il libro di Gramellini. Un film che sembra composto da scene singole, episodiche, istantanee non sempre messe a fuoco, ma che, pur senza un respiro unico, incantano anche nella loro imperfezione. Bravo Mastrandrea, ma la Bejo è luce pura." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 10 novembre 2016)

"C'è un bel salto da 'Sangue del tuo sangue' a 'Fai bei sogni' pur portando entrambi la firma di Marco Bel-locchio: se il primo (...) si offriva allo spettatore orgoglioso della propria sorprendente imprevedibilità, il secondo (...) procede lungo i binari di una più tradizionale linearità narrativa. Si sente che alle spalle del secondo c'è il romanzo best seller di Massimo Gramellini con il suo percorso di svelamento, e che tutto questo in qualche modo ha finito per indirizzare anche le intenzioni del regista, che pure l'ha sceneggiato senza ricorrere all'autore letterario ma collaborando con Edoardo Albinati e Valia Santella. Anche se si riconosce pure la mano personalissima del regista, il suo modo di raccontare e, in alcune scene come nell'apparizione fulminante di Piera degli Esposti, il suo inconfondibile gusto per il sarcasmo. (...) La solitudine dell'infanzia, i complicati rapporti con la famiglia, la figura autoritaria del padre, la «perdita» della madre... sono tutti temi che risuonano dal film alla filmografia di Bellocchio e che danno a questo 'Fai bei sogni' un suo indubbio spessore autoriale. A stridere un po' - per il mio gusto - sono le scene dove il film segue più da vicino la biografia del protagonista e ne spiegano la carriera giornalistica (...). Così come non si dimenticano gli incontri del giovane Massimo (...) con i due preti affidati a Roberto Di Francesco e a Roberto Herlitzka dove si ritrova la tipica capacità bellocchiana di raccontare il pietismo peloso e l'intelligenza ambigua che contraddistinguono la sua personale visione della Chiesa. Così alla fine il film dà l'impressione di seguire (troppo?) i sussulti ondivaghi della memoria, a volte coinvolgenti (...) a volte meno quando i nodi narrativi del film (la carriera professionale, certe figure femminili, ma anche lo svelamento sulla fine della madre) sembrano stridere per il contrasto tra la materia melodrammatica e il modo sempre un po' contratto e razionale con cui sono affrontati, tutto in levare (...). E che finiscono per lasciare al film quel senso di sospensione e di incompiutezza che probabilmente è il vero rovello della vita del protagonista." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 13 maggio 2016)

"(...) Bellocchio è un regista capace di accensioni folgoranti più che un vero narratore, o meglio racconta proprio attraverso immagini capaci di condensare in un lampo tutto un mondo, un conflitto, una vertigine interiore. Così, emoziona quando intreccia il destino di Massimo a incontri brevi ma decisivi, come quello con il professore-sacerdote che gli dà una sonora lezione di vita, il sempre magnifico Roberto Herlitzka; o quello, notturno e avventuroso, con l'innominato 'presidente' (...). Ma segna un po' il passo quando il povero Massimo (...) viene lasciato solo con i suoi fantasmi (Belfagor, terrificante serie tv anni 60), con i ricordi della madre (l'inedita e intonatissima Barbara Ronchi), o con quel padre reticente e bugiardo (...). Come se questa storia così vera e così vicina finisse per inibire un regista (pensiamo a 'Buongiorno, notte'), abituato alla più totale inventiva e libertà." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 13 maggio 2016)

"Marco Bellocchio è un (...) artista di (...) coerenza e integrità (...) arrivato a un punto della carriera in cui può fare ciò che vuole, in totale libertà, e ha voglia di ripercorrere certi temi, di legare i film di oggi ai film di mezzo secolo fa. 'Fai bei sogni' non è il suo film più bello. Soprattutto fra quelli girati di recente, secondo noi tutti splendidi (...). Ma ci sembra bellissimo, anche se forse lievemente 'esoterico' - nel senso di non comprensibile a tutti, solo a chi ha frequentato il suo cinema in modo non superficiale - che nel film ci siano allusioni sommerse a 'I pugni in tasca' e a molte idee che percorrono il suo cinema in profondità, come una sorta di fiume carsico. (...) Poi (...) certe cose del film secondo noi non funzionano. E per spiegarci è forse opportuno dire cos'è, 'Fai bei sogni'. È la trasposizione cinematografica del libro di Massimo Gramellini (...) grazie alla fotografia decolorata di Daniele Ciprì e al montaggio di Francesca Calvelli che - come in 'Vincere' - usa il repertorio come 'inconscio' della storia narrata, l'immersione nell'Italia degli anni 60 è emozionante. Non vorremmo minimamente guastare la rivelazione che attende Massimo a fine film, ma quando sarete usciti dalla sala ripensate ai filmati dei tuffatori Klaus Dibiasi e Giorgio Cagnotto alle Olimpiadi. Sembra di esser lì, nel nostro passano, a partecipare a un gioco di ombre, un nascondino con se stessi e con le proprie paure che trova perfetta sintesi nella meravigliosa scena finale. Massimo da piccolo è Nicolò Cabras, bravissimo. Sua madre è Barbara Ronchi, un'interpretazione tutta carezze, sguardi, canzoni intonate assieme al figliolo. Valeria Mastandrea, quando Massimo diventa adulto, è altrettanto bravo: ma tutto ciò che lo circonda sembra meno autentico, a cominciare dall'ambiente giornalistico ricreato in modo che a noi del mestiere suona poco credibile. Eppure il rimando tra l'infanzia e la maturità era necessario, la ricerca della verità sul destino della madre indispensabile così come il rapporto con un padre severo e distante (...). Il film diventa anche una riflessione su una generazione di genitori con la quale la discussione è idealmente ancora aperta, ed è commovente che a interpretare Gramellini sia lo stesso attore che in 'Romanzo di una strage' era il commissario Calabresi, un altro padre morto ingiustamente al quale il figlio (il giornalista Mario, ora direttore di Repubbrica) ha dedicato pagine importanti. Bellocchio riflette da sempre sulle dinamiche della sua famiglia, ne parla anche nei film che sembrano parlare d'altro. E' un'idea di famiglia dove le nascite e le morti sono in rapporto osmotico; nel 1966 BeIlocchio pubblicò una raccolta di poesie intitolata 'I morti crescono di numero e d'età'. E' proprio così, e 'Fai bei sogni' aiuta a fare i conti con questa verità." (Alberto Crespi , 'L'Unità', 13 maggio 2016)

"In molti si sono chiesti cosa avesse Marco Bellocchio in comune con il bestseller di Massimo Gramellini (...). Il regista dei 'Pugni in tasca' e dell''Ora di religione' alle prese con un romanzo autobiografico, tendente al lirico? Ma, pur restando in gran parte fedele al libro, Bellocchio ha fatto un film personalissimo, anzi un'ennesima esplorazione delle proprie ossessioni e dei propri fantasmi. (...) prima mezz'ora di film, molto bella, racconta non solo un lutto individuale, ma anche la sua costruzione sociale, ed è pieno di pranzi, case, preti tutti tipicamente 'bellocchiani'. Però è soprattutto una specie di viaggio, raccontato come un horror senza orrori, nelle immagini e nei suoni di un'epoca (l'epoca nella Rai di Bernabei, verrebbe da dire) (...). A quest'atmosfera contribuiscono le musiche potenti di Carlo Crivelli, mentre curiosamente la fotografia di Daniele Ciprì risente della moda di usare toni freddi e grigiastri per i film ambientati negli anni 70. (...) Il fascino dell'operazione è soprattutto scoprire come uno stesso episodio o personaggio, passando dal libro al film, assuma significati e toni completamente diversi. È come se Bellocchio avesse voluto sabotare la storia, contraddirla, come facevano certi registi hollywoodiani alle prese con i generi. Smorza ogni tentazione mélo, a tratti sembra farsene beffe. (...) Il film perde interesse quando il protagonista cresce, tra mondo del giornalismo e storie d'amore. Se certe sequenze hanno una spiazzante efficacia (l'incontra con una specie di Raul Gardini interpretato da Fabrizio Gifuni), altre potrebbero essere eliminate senza danno, come la parentesi nella guerra dei Balcani. Nuovamente intenso però il finale, che ricorda quello di 'Buongiorno, notte' capovolto (e di più non sveliamo ),ed è coerente con il Bellocchio degli ultimi anni, che non vuole più uccidere i padri e le madri, ma solo «lasciarli andare»." (Emiliano Morreale, 'La Repubblica', 13 maggio 2016)

"(...) Marco Bellocchio è un regista speciale, capace come raramente accade anche (o forse soprattutto) tra i registi con meno esperienza di mettersi in gioco a ogni passaggio, di allenare le sue immagini a nuove prove, la sua poetica a differenti relazioni e traiettorie emozionali. (...) 'Fai bei sogni' (...) nasce dall'omonimo best seller di Massimo Gramellini (...), la storia di una morte, quella della madre, e di un dolore rimasto intatto attraverso gli anni nell'altalena dei ricordi e dei silenzi, delle omissioni e delle «false» verità che raccontano la scomparsa della donna. (...) non è un biopic del personaggio (...), anche se ci sono molti passaggi che riguardano la sua vita professionale (...), ma sono forse le parti più rigide di un film che vive invece laddove Bellocchio dispiega i luoghi del suo universo narrativo, ritrovando anche molti dei «suoi» attori come Roberto Herlitzka o Piera Degli Esposti. II rapporto con la madre, la figura del padre, la famiglia, la fede, gli interrogativi senza risposta sulla morte, quella strana combinazione di sofferenza e di rabbia che solo l'amico immaginario del piccolo Massimo sembra comprendere. (...) E' nello spazio del ricordo, che poi è quello dell'infanzia, commuovente e intenso, che Bellocchio (...) dissemina il corpo a corpo del protagonista - magnifici i due piccoli interpreti, Nicoló Cabras e Dario Del Pero - con la realtà; un romanzo di formazione che è anche una seduta lunghissima di psicanalisi (...) di cui la macchina da presa con delicatezza illumina l'ostinazione caparbia a negare. (...) La sfida della vita che Bellocchio anche stavolta riesce a rendere cinema." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 13 maggio 2016)

"(...) com'è 'Fai bei sogni'? Nei temi - dalla famiglia alla religione, passando per l'ipocrisia borghese e le menzogne private e collettive - effettivamente aderente al cinema di Bellocchio, negli esiti zoppicante, soprattutto laddove tocca il versante giornalistico tout court, ovvero quando la storia di Gramellini non va da Bellocchio, ma viceversa: l'intervista notturna al 'presidente' suicida e la guerra a Sarajevo in stile 'Venuto al mondo' non sono all'altezza, Mastandrea non sempre sembra convinto né convincente, l'italianità - dalla mamma che è sempre la mamma al tifo calcistico (Toro) - va un po' a scapito del respiro internazionale (...)." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 13 maggio 2016)

"(...) ci si poteva legittimamente chiedere quale fosse la relazione tra la pacata veemenza degli ultimi film di Marco Bellocchio e l'enfasi appena sopita delle pagine di Massimo Gramellini. 'Fai bei sogni' versione schermo (...) non risponde al quesito. I due universi espressivi restano agli antipodi. Pur lasciando intatta la vicenda, Bellocchio apre però a nuovi significati, tutti vicini al suo sentire e alla forma rarefatta del suo cinema più recente, frammentario e magmatico. (...). Il regista non esita a trasfigurare l'innocenza del racconto innervandolo con la sua visionarietà e incrociandolo con una sorta di coralità storica fatta di frammenti tv (...) ed eventi sportivi (...). 'Fai bei sogni', firmato da Bellocchio, è la prova di come possa essere stimolante, seppur a tratti contradditorio, il cinema di un maestro che si affida a quella incondizionata, talvolta esplosiva, libertà che l'avanzata maturità gli garantisce e che gli permette di regalarci virtuosistiche variazioni su temi già affrontati." (Andrea Martini, 'Nazione-Carlino-Giorno', 13 maggio 2016)

I film della stagione 2016 / 2017


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