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L'incredibile impresa di Philippe Petit compiuta il 7 agosto 1974: camminare su un filo sospeso sul vuoto che si stendeva tra le due Torri Gemelle di New York. Guidato dal suo mentore, Papa Rudy e supportato da un'improbabile gruppo di amici e artisti, Petit e la sua gang superano diffidenze, tradimenti, dissensi ed innumerevoli altri ostacoli per concepire e realizzare il loro folle piano.
Regia: Robert Zemeckis
Interpreti: Joseph Gordon-Levitt, Ben Kingsley, Charlotte Le Bon, James Badge Dale, Ben Schwartz, Clément Sibony, Sergio Di Zio, Mark Camacho, Kwasi Songui
Sceneggiatura: Robert Zemeckis
Fotografia: Don Burgess
Montaggio: Jeremiah O'Driscoll
Musiche:
Durata: 2 ore e 3 minuti
Finché il cinema continuerà a mostrarci qualcosa di inedito, a commuoverci, meravigliarci, potrà dirsi vivo. La sua avventura non sarà finita e noi non smetteremo mai di guardarlo. Questo è il cinema che ha sempre desiderato fare Robert Zemeckis, da Ritorno al futuro a Chi ha incastrato Roger Rabbit, da Forrest Gump a Cast Away. Un cinema che lasci a bocca aperta. Gioiosamente infantile, spericolato, pirotecnico, pionieristico, positivo. Come i personaggi che lo popolano.
Un cinema così concepito non poteva non incontrare uno come Philippe Petit, il funambolo che camminò su un cavo d’acciaio tra le due Torri Gemelle, la mattina del 7 agosto 1974. Un visionario, un folle, un megalomane. O più semplicemente “L’uomo sul filo”, come lo ha voluto ribattezzare James Marsh nel suo bel documentario, Man on Wire. Per audacia, sfrontatezza , bellezza, un’impresa la sua destinata a diventare il più potente gesto dada del ventesimo secolo. Dove sta la grandezza del film di Zemeckis rispetto a tutto questo? Quale straordinarietà possiede che non sia un’emanazione di quella di Petit? Probabilmente nella capacità – tutta cinematografica – di ribaltare la prospettiva sulla “performance”, di cambiargli verso (come farà più volte Petit sul filo, mentre i poliziotti lo braccano): il cinema e i suoi prodigi – il digitale, il 3D, il dolly – ci portano cioè laddove Petit non riuscì a portare i suoi spettatori, lassù con lui.
E’ la vertigine che sperimentiamo, l’esperienza in apnea di qualcosa che sospende per un tempo (in)definito l’esistenza così come la conosciamo, con i suoi limiti e le sue regole. Zemeckis intuisce, cattura e rende il tremore e l’estasi del Prometeo che è in noi, addormentato e sepolto. Ma fa di più. Nel restituire allo Skyline di New York il World Trade Center con le due Torri Gemelle, Zemeckis riconfigura nuovamente l’immaginario riempiendo il vuoto lasciato dall’11 settembre.
Se Petit, con la sua “camminata”, aveva dato un’anima alle Twin Towers, Zemeckis con The Walk gli ridà vita, cancellando di colpo i segni di distruzione e di morte lasciati dai jihadisti. Perciò si intuisce meglio la costruzione del film come un heist-movie, come un classico film sul “colpo”: con il suo team di eccentrici terroristi (come agitatori dell’ordine pubblico vengono additati più volte del resto), The Walk raddoppia e ribalta il 9/11 americano nel nome della vita, del potere dell’immaginazione, dell’arte. E percorre sicuro il filo sospeso tra Storia e Cinema, camminando a passo spedito verso la notte degli Oscar... (Gianluca Arnone)