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Un attore, famoso per aver interpretato il celebre supereroe Birdman, tenta di tornare sulla cresta dell'onda mettendo in scena a Broadway una pièce teatrale che dovrebbe rilanciarne il successo. Nei giorni che precedono la sera della prima, deve fare i conti con un ego irriducibile e gli sforzi per salvare la sua famiglia, la carriera e se stesso.
Regia: Alejandro González Iñárritu
Interpreti: Michael Keaton, Edward Norton, Emma Stone, Naomi Watts, Zach Galifianakis, Amy Ryan, Merritt Wever, Joel Garland, Clark Middleton, Bill Camp, Dusan Dukic, Andrea Riseborough
Sceneggiatura: Alejandro González Iñárritu, Armando Bo, Nicolas Giacobone, Alexander Dinelaris
Fotografia: Emmanuel Lubezki
Montaggio: Douglas Crise
Musiche: Antonio Sanchez
Durata: 1 ora e 59 munuti
Iñárritu apre le ali e dà il via, in Concorso, a Venezia 71. Con un grande Michael Keaton e l'incredibile fotografia di Lubezki
Riggan Thomson (Michael Keaton) sta per esordire a Broadway. Stella del cinema tramontata - fino agli inizi dei '90 iconico supereroe dietro il costume di Birdman -, oggi, a 60 anni suonati, l'attore tenta di ricostruirsi un'immagine partendo da un testo di Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d'amore.
L'impresa è ardua, però: alle continue discussioni con l'amico, produttore, avvocato Jake (Zach Galifianakis) si aggiunge poco dopo la difficile gestione del nuovo arrivato Mike (Edward Norton), attore talentuoso ma uomo impossibile, per non parlare del rapporto conflittuale con la figlia Sam (Emma Stone), fresca di rehab, e della difficile relazione con la collega di palco Laura (Andrea Riseborough). Naturalmente sono in pochissimi a dargli credito, men che meno la temibile critica teatrale del New York Times, Tabitha Dickinson (Lindsay Duncan), decisa a stroncarlo ancor prima di vedere la piece. Oltretutto, c'è qualcuno da cui Riggan proprio non riesce a liberarsi: Birdman, che non smette un secondo di incitarlo a mollare tutto e ritornare a volare. A reindossare la maschera dell'effimero per sentirsi, ancora una volta, vivo.
Dopo Gravity di Alfonso Cuarón, la Mostra di Venezia regala un'altra, straordinaria apertura: è Birdman - O le inaspettate virtù dell'ignoranza di Alejandro González Iñárritu: lontanissimi tra loro, i due film sono accomunati da un particolare di non poco conto, Emmanuel Lubezki, tra i più grandi direttori della fotografia contemporanei, artefice di un ulteriore "miracolo" cinematografico. Dal camerino al palcoscenico, dai marciapiedi di Broadway alla platea del teatro, dal tetto del palazzo al cielo di New York: il primo "stacco" arriva un'ora e cinquanta minuti dopo l'inizio del film, che tentando di mescolare cinema-vita-teatro produce effetti stranianti e totale empatia con i personaggi. E' un flusso ininterrotto, un pianosequenza ardito e sporco, un vortice che risucchia sguardo e emozioni: per riflettere su dicotomie ataviche come arte vs. intrattenimento, popolarità e prestigio ("La fama è la cugina zoccola del prestigio", cit.), realtà e messa in scena, che non risparmia attacchi all'aridità di posizioni radicali (la figura del critico) o alla vacuità dei social network e si interroga, a suo modo, sulla disperata ricerca d'amore di ogni essere umano.
Iñárritu scopre un nuovo modo di fare cinema, si mette in gioco ancora una volta, realizza forse la sua opera più libera e sincera, supera definitivamente la "fase Arriaga" e si svincola dai ricatti emotivi (Biutiful), raggiungendo con Birdman il punto più alto della sua filmografia. Anche grazie alla prova maiuscola del redivivo Michael Keaton (i due Batman con Tim Burton sono rimando sin troppo limpido), che non a caso riporta alla mente il Mickey Rourke di The Wrestler (operazione, quella di Aronofsky, poi non così dissimile a questa) e dell'intero cast tutto, da Edward Norton a Galifianakis, fino a Naomi Watts. (Valerio Sammarco)
"Di che cosa parliamo quando parliamo d'amore? È questo, senza interrogativo finale, il titolo di una delle più straordinarie raccolte di racconti del Novecento. Ed è la domanda che attraversa il nuovo film di González Iñárritu, 'Birdman', uno dei migliori dell'anno (...). Lo sappiamo al cinema dai tempi dell''Effetto notte' di Truffaut. È un disperato bisogno d'amore che spinge a fare il mestiere dell'attore e forse anche per altri: ormai quasi tutti sono attori, qualsiasi lavoro facciano. Ma quale sia la forma di questo amore, se la fama, il successo, l'adorazione, il numero dei followers e come questa ricerca influisca sul bisogno d'amore quotidiano, tangibile per una donna, un uomo, un figlio, un amico, questo è il tormento del nostro eroe. (...) La camera di Iñárritu lo insegue in un flusso continuo, omaggio cinefilo al grande Hitchcock, sfiorando con leggerezza alcuni solidi luoghi comuni - il rapporto fra cinema e teatro e letteratura, fra arte e mercato - senza mai cadere nella banalità e anzi virando ogni volta verso situazioni inattese, a tratti d'irresistibile comicità. Nella forma e nella sostanza Iñárritu descrive la parabola del folle volo di un Ulisse, di un Icaro del nostro tempo fragile e disperso fra mille inutili tentazioni e ricorrenti crisi d'identità. La forza creativa del cinema di Iñárritu è sostenuta da una scrittura brillante e da una prova d'attori fenomenale. Ed Norton è travolgente nella parte di Mike (...), Emma Stone, sempre più brava (...), Naomi Watts è perfetta nel ruolo di un'attrice in fuga dal ruolo di sex symbol. Su tutti però giganteggia Michael Keaton, già vincitore del Globen Globe e favorito per un Oscar che realizzerebbe un'altra favola hollywoodiana. Perché si tratta proprio di lui, del Keaton protagonista dei primi due 'Batman', poi ripudiato dalla Mecca del cinema per aver rifiutato 'Batman 3' e ora tornato alla gloria con il personaggio autobiografico di Birdman, fra gli applausi del pubblico che si era dimenticato di lui e gli osanna d'una critica che l'aveva sempre considerato un mediocre attore miracolato dal botteghino. Con 'Birdman' il messicano Alejandro Iñárritu si conferma uno dei registi di maggior talento del panorama cinematografico mondiale (...)." (Curzio Maltese, 'La Repubblica', 2 febbraio 2015)
"(...) «Birdman» rappresenti uno dei titoli più rilevanti delle ultime stagioni (...) la commedia nera architettata sui tormenti di Riggan (...) ,ha tutto per convincere anche la cinefilia più accigliata. Nella miriade di spunti centrali e collaterali che scandiscono l'allestimento, le prove e i contrattempi nei tre giorni precedenti la prima, il regista messicano trapiantato negli Usa muove le pedine di un gioco al massacro che non risparmia nessuno: attori vanitosi e spregiudicati, colleghe frustrate, ex mogli fameliche, figli disastrati, giornalisti idioti, pubblico bue, tutti braccati dalla cinepresa con sinuosi piani sequenza mentre anche Riggan, in piena crisi autodistruttiva, non può liberarsi dal flusso di coscienza della voce interiore né dalla proiezione dell'altro se stesso ovvero il gigantesco supereroe mascherato da uccello rapace. Una struttura acrobatica fomentatrice di cortocircuiti a catena tra delirio, sarcasmo e ferocia a cui è particolarmente versato il regista di «21 grammi» e «Babel» (come sottolinea il sottotitolo alla De Sade «... o l'insospettabile virtù dell'ignoranza»), qui supportato dalle ideali performance di Keaton, Norton, Stone e Watts che sarebbe ancora meglio, peraltro, apprezzare in versione originale sottotitolata. Se un difetto può imputarsi a «Birdman» è solo quello della sovrabbondanza: non tanto delle tematiche che oscillano sapientemente tra quelle più ovvie (la satira dei media e dei social network, la crisi d'identità tra privato e pubblico dei divi) e quelle più sofisticate (le diverse tecniche di recitazione, i classici letterari cari al pubblico del teatro), quanto delle visioni apocalittiche e delle catarsi poetiche assegnate al protagonista e dilaganti in un ultimo quarto d'ora in cui allo spettatore vengono proposti un numero imbarazzante di falsi finali." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 5 febbraio 2015)
"(...) soprattutto 'Birdman' è la surreale tragicommedia di un uomo atterrito dallo spettro incombente di un fallimento personale e professionale; e - anche se una sua debolezza è proprio quella drammaturgica di tirare in ballo un deuteragonista del peso di Edward Norton per poi mollarlo a metà strada - è un film sul teatro nel teatro, su quello scontro di egocentrismi che durante le prove possono creare situazioni di conflitto eventualmente funzionali alla riuscita dello spettacolo. Pur incarnati da eccellenti attori (dalla figlia Emma Stone al produttore Zach Galifianakis) gli altri personaggi in realtà contano relativamente, stanno li solo per dare il la a Riggan. (...) Svariando su una gamma di emozioni che va dall'isterismo alla frustrazione, Keaton impersona Riggen mettendosi sfrontatamente a nudo con coraggiosa autoironia. E intanto Iñárritu e il suo fantastico direttore di fotografia Emmanuel Lubezki gli stanno addosso in lunghe scene dal ritmo incalzante che non conosce pause, dando l'impressione di un racconto svolto in un unico, acrobatico piano sequenza. Fino a un finale metaforico che non ci ha molto convinto, ma che nulla toglie alla travolgente, disperata energia di un film non a caso candidato a nove premi Oscar." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 5 febbraio 2015)