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TIR racconta la storia di Branko, un ex professore di Rijeka, che da qualche mese è diventato camionista per un'azienda italiana. Una scelta più che comprensibile: adesso guadagna tre volte tanto rispetto al suo vecchio stipendio d'insegnante. Eppure tutto ha un prezzo, anche se non sempre quantificabile in denaro. Da piccoli ci dicevano: «Il lavoro nobilita l'uomo». Ma oggi sembra diventato vero il contrario: è Branko, con la sua efficienza, la sua ostinazione, la sua buona volontà a nobilitare un lavoro sempre più alienante, assurdo, schiavizzante...
Regia: Alberto Fasulo
Interpreti: Branko Zavrsan
Sceneggiatura: Alberto Fasulo, Carlo Arciero, Enrico Vecchi, Branko Zavrsan
Alberto Fasulo e il camionista Branko in giro per l'Europa: in Concorso, con le ruote sgonfie
Prendi un attore (lo sloveno Branko Zavrsan); gli fai prendere la patente ad hoc; gli fai fare il camionista per sei mesi; lo riprendi per le strade di mezz’Europa. Il risultato? TIR, primo lungometraggio di finzione di Alberto Fasulo, friulano, classe ’76, in carnet il buon documentario Rumore bianco. In Concorso a Roma anno VIII, TIR – dice il regista – “è un film su un paradosso: quello di un lavoro che ti porta vivere lontano dalle persone care per cui, in fondo, stai lavorando”.
Bene, questo “paradosso” è quasi vecchio come il mondo, e ovvio non si limita agli autisti dei bestioni della strada: guardatevi in casa, pensate ad amici trasferiti, parenti commessi viaggiatori, fughe dei cervelli, etc., o alle missioni all’estero attuali e dell’Impero Romano e capirete che forse il paradosso è questo paradosso, nella misura in cui l’autista ne è presentato quale paradigma e questa situazione lavorativa come peculiare, ovvero Zeitgeist. A meno, s’intende, di non credere che mogli e buoi dei paesi tuoi valga ancora o, almeno, meriti un’osservazione nostalgica.
Ancora, Branko Zavrsan interpreta Branko, un ex insegnante di Rijeka, divenuto autista: orari mostruosi, vita grama, ma stipendio triplicato. Perché non i contractor a sto punto, che guadagnano ancor più, stanno più lontano e con più pericoli? Ma il problema non è questo: perché chiedere a un attore di fare il camionista? A parte una presenza scenica à la Rutger Hauer, non è che al buon Branko si chieda l’Otello: un vero autista, no? Non perché questa finzione sia ontologicamente infida, semplicemente, ne valeva la pena? Qual è il surplus di senso garantito dalla finzione al TIR non documentaristico?
Comunque, il film si fa vedere, alterna on the road duro e puro ai dialoghi di Branko con il collega Maki (Marijan Sestak, vero camionista), il datore di lavoro, la moglie a Rijeka, cercando drammaturgicamente, poeticamente e ideologicamente il “falso movimento”. Intenzione apprezzabile, seppur non inedita, ma la sensazione di stare in una piazzola per 85 minuti rimane: se non come, dove va a parare questo TIR? (Federico Pontiggia)