Dopo l’India dei barcaioli, il deserto americano dei drop out, il Messico dei killer del narcotraffico, Gianfranco Rosi ha deciso di raccontare un angolo del suo Paese, girando e perdendosi per più di due anni con un mini-van sul Grande Raccordo Anulare di Roma per scoprire i mondi invisibili e i futuri possibili che questo luogo magico cela oltre il muro del suo frastuono continuo. Dallo sfondo emergono personaggi altrimenti invisibili e apparizioni fugaci: un nobile piemontese e sua figlia laureanda, assegnatari di un monolocale in un moderno condominio ai bordi del Raccordo; un botanico armato di sonde sonore e pozioni chimiche cerca il rimedio per liberare le palme della sua oasi dalle larve divoratrici; un principe dei nostri giorni con un sigaro in bocca fa ginnastica sul tetto del suo castello assediato dalle palazzine della periferia informe a un’uscita del Raccordo; un barelliere in servizio sull’autoambulanza del 118 dà soccorso e conforto girando notte e giorno sull’anello autostradale; un pescatore d’anguille vive su di una zattera all’ombra di un cavalcavia sul fiume Tevere. Lontano dai luoghi canonici di Roma, il Grande Raccordo Anulare si trasforma un collettore di storie a margine di un universo in espansione.
Vincitore del Leone d'Oro per il miglior film al Festival di Venezia 2013.
Regia: Gianfranco Rosi
Sceneggiatura: Gianfranco Rosi
Fotografia: Gianfranco Rosi
Montaggio: Jacopo Quadri
Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)
Giudizio: consigliabile, realistico, dibattiti
Tematiche: Ecologia; Famiglia - genitori figli; Lavoro;
Quando Gianfranco Rosi si presenta con il Leone d'oro alla c.s. dei vincitori che per tradizione segue la cerimonia di premiazione in Sala Grande, qualcuno fa osservare che l'edizione 2013 della Mostra di Venezia, cominciata con una serata dedicata a Francesco Rosi e al suo "Le mani sulla città" (Leone d'oro 1963), si chiude nel segno di un altro Rosi e con un verdetto destinato a restare nella storia. "Sacro GRA" infatti non è un opera d'invenzione ma un documentario: è il Grande Raccordo Anulare di Roma, 68,223 chilometri di autostrada urbana percorsa da almeno 58 milioni di veicoli l'anno. La scelta dell'argomento è arrivata a Rosi attraverso un'idea dell'urbanista Nicolò Bassetti. Una lunga presenza sul territorio a girare materiale, selezionarlo e montarlo. Molte inquadrature delle strade, soprattutto di notte, i cartelli che indicano le uscite verso le varie zone della città. Poi, fuori dal percorso, arrivano alcune storie, più o meno autentiche, più o meno vivaci. Ad un certo punto si ha la sensazione che il cuore del GRA cominci ad allontanarsi e che le immagini stiano inclinando verso la ricerca di un neo/neorealismo difficilissimo da realizzare in tempi di televisioni e internet. E' assente il senso dell'incombere della struttura GRA sula vita dei cittadini, quella quotidianità complicata che può essere di aiuto o far nascere nervosismi, nevrosi, incubi. Alla fine la cronaca resta arida, poco coinvolgente, non incisiva. Ma forse è questo il taglio più immediato per il 'documento', che deve osservare la realtà e filmarla in modo neutro. Tra momenti riusciti ed altri meno azzeccati, il film, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, realistico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione: il film da utilizzare in programmazione ordinaria, e da riprendere in occasioni mirate per avviare riflessioni sugli spunti che propone: anche pensando a chi non conosce né vive la struttura GRA, e alle forme espressive del 'documentario'. Anche per contesti scolastici e didattici.
Non un film sul Raccordo Anulare, ma con il Raccordo Anulare. L'umanità ai margini di Rosi vale un Leone d'Oro
Un anello. Che circonda e unisce Roma, su due carreggiate. Esterna e interna. Di giorno, su alcuni tratti, può diventare una trappola infernale. Di notte, quando il frastuono dei motori è intervallato dal silenzio del buio, custodisce i segreti di alcune storie a margine di un universo in espansione. Con i suoi 68,2 km, il Grande Raccordo Anulare è la più estesa autostrada urbana d'Italia: con il suo sguardo, Gianfranco Rosi porta in superficie gli scorci di un'umanità inedita, ai bordi di un confine fallito, depositaria di un passato che non muore e sospesa in un presente che può prendere forma verso tanti futuri possibili.
E' Sacro GRA, in concorso a Venezia, film-documentario che non inizia e non si conclude, che parte da un punto qualsiasi del Raccordo Anulare ("anello di Saturno", come ci ricorda un cartello prima della visione che prende in prestito la definizione da Roma di Fellini) e, da lì, effettua un giro lungo 93 minuti. Per scorgere frammenti di esistenze altrimenti impossibili da "inquadrare", inghiottite dalla stasi di una struttura dove a regnare è solamente il rumore, e la velocità: ai nostri occhi allora ecco apparire (e scomparire) un nobile piemontese e sua figlia all'interno di un monolocale in un moderno condominio ai bordi del Raccordo, un botanico che attraverso sonde sonore e pozioni chimiche cerca di salvare le palme della sua oasi dai letali punteruoli rossi, un principe dei nostri tempi che affitta il proprio castello per qualsiasi cosa, convegni, bed&breakfast, sessioni di shooting, un attore di fotoromanzi che un tempo era una comparsa cinematografica, un barelliere in servizio sull'ambulanza, un pescatore d'anguille che vive sulle sponde del Tevere: Gianfranco Rosi ci mostra ognuno di loro, ce li "suggerisce" sarebbe meglio dire, inconsapevolmente fieri di detenere (e trasmettere) un'identità talmente forte da non aver bisogno di ulteriori approfondimenti.
Perché comunque sarebbe impossibile farlo: Sacro GRA - Leone d'Oro alla recente Mostra di Venezia - non è un film "sul" Raccordo Anulare, o sulle persone che ci vivono accanto, Sacro GRA è un film "con il" Raccordo Anulare, che cammina intorno a questo anello divenendo esso stesso anello. Per circoscrivere momentaneamente, e rilasciare ogni volta libere, le esistenze che ha deciso di portare in superficie: "E' incredibile, il cupolone si vede anche da qui", dice ad un certo punto Paolo, il nobile piemontese, affacciandosi dalla finestra del suo monolocale. Che sia vero o meno poco importa, l'epifania è sconvolgente anche dal punto di vista cinematografico: quella Roma lì, del cupolone e delle fontane, dei musei e delle chiese, mondana e immobile, è rimasta dov'era, visibile in lontananza anche ad occhio nudo.
Per trovare questi altri pezzi di Roma, invece, è necessario servirsi del microscopio di Gianfranco Rosi. Che sfida i romani stessi a percepire di quali quadranti della capitale si tratti: perché intorno al Raccordo tutto si può mischiare o confondere, tranne l'identità di un'umanità così eterogenea. (Valerio Sammarco)
"Quando 'Sacro Gra' venne presentato a Venezia ai primi di questo mese misi subito in evidenza che, per la prima volta, la Mostra del Cinema accoglieva in concorso nella sezione ufficiale un documentario, sia pure di lungometraggio. Rilevavo però che, dopo averlo visto, meritava proprio questa eccezione, subito confermata del resto da un altro primato assoluto, la vincita del Leone d'oro. Il noto documentarista Gianfranco Rosi, che lo ha scritto, diretto e fotografato, gli ha dato come sola cornice quel Grande Raccordo Anulare che si estende per 70 chilometri attorno a Roma. Gente, facce, situazioni, episodi visti sempre con l'occhio del vissuto, anche quando sembrano farsi avanti occasioni narrative vicine alla finzione. (...) Discorsi diretti, con un sapore costante di verità e di immediatezza, pronunciati non da attori ma quasi sempre dagli stessi interessati perché ne scaturisca un clima di osservazioni precise: fino a far sentire che, in quel Gra definito 'Sacro', si è inteso evocare un mondo in cui l'autentico è sempre in primo piano. Con meditate misure narrative e stilistiche. Gianfranco Rosi è da sempre apprezzato per i suoi esperimenti sul cosiddetto 'cinema del reale'; questo 'Sacro Gra', con il suo Leone d'oro, ne rappresenta uno dei momenti più felici." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 19 settembre 2013)
"Rinviando i discorsi teorici sul Leone d'oro assegnato a un documentario, 'Sacro GRA' ha meritato secondo noi l'inedito riconoscimento: innanzitutto perché i personaggi colti, lasciati e ripresi con strategiche intensità e sensibilità dalla cinepresa di Gianfranco Rosi sulla scorta di un'idea dell'urbanista Bassetti sono quasi tutti strepitosamente avvincenti; poi perché non si può definire cinema parassita della realtà un film di un'ora e mezza estratta da circa duecento registrate nel corso di anni di preparazioni e peregrinazioni ai margini e le diramazioni del Raccordo Anulare di Roma; infine perché, invece d'apporre giudizi o etichette anche sulle confessioni o le osservazioni umanamente e sociologicamente più inquietanti, il regista persegue un percorso creativo che plasma il referto «obiettivo» della cinepresa per creare nuovi percorsi di narrazione." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 19 settembre 2013)
"Con il suo documentario vincitore del Leone d'oro 2013, il regista Gianfranco Rosi si impegna a ritagliare a ridosso del GRA piccoli spaccati di vita: c'è il simpatico barelliere sempre in giro a portare soccorso e il nobile decaduto che filosofeggia dal monolocale di un casermone; c'è il cavaliere di Malta confinato in una strana villa fra capannoni e palazzine popolari e il botanico deciso a salvare le palme della sua oasi dall'attacco di larve distruttrici. Tasselli di paesaggio umano colti con un occhio di cinema che è stato giustamente apprezzato dalla giuria veneziana. Ma, ripetiamo quanto scritto dal Lido, in tutto questo è proprio il GRA che ci sembra restare fuori fuoco, inafferrabile." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 19 settembre 2013)
"Tanti pezzi di verità, filmati con indubbio talento, ma che non riescono mai a guadagnare il respiro di una narrazione. Non riescono insomma a colpire al cuore come il precedente e magnifico 'El Sicario'." (Curzio Maltese, 'La Repubblica', 19 settembre 2013)
"Secondo alcuni osservatori veneziani (...) 'Sacro Gra' è un film «recitato», ma disquisire sulla purezza o meno dell'approccio documentaristico di Rosi è un errore. Chi ha visto i precedenti 'Below Sea Level' e 'El Sicario' sa che Rosi fa cinema puro, superiore a ogni definizione. A noi non dà alcun fastidio che i personaggi si mettano di tanto in tanto «in posa» per la macchina da presa. È comunque la loro verità, e non sta a noi discuterla. Semmai, la struttura del film è esile, e i due capolavori citati rimangono un modello irraggiungibile. Le piccole storie che Rosi intercetta sono tutte azzeccate, ma potrebbero dipanarsi ovunque, a Roma o altrove. Alla fine del film, si ha la sensazione che il Gra sia stato una scusa. Ma forse Rosi voleva proprio così." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 19 settembre 2013)
"E' il primo documentario italiano selezionato in concorso al Festival di Venezia e ha vinto il Leone d'Oro. Ora 'Sacro GRA', realizzato da Gianfranco Rosi a partire da un'idea del paesaggista-urbanista Nicolò Bassetti, viaggio lungo il grande raccordo anulare di Roma, tra luoghi invisibili da esplorare e inediti personaggi da scoprire, arriva anche nelle sale tracciando con la videocamera una mappa umana costellata di storie inimmaginabili per chi ogni giorno sfreccia veloce (o resta immobile) a poca distanza sull'autostrada urbana più estesa d'Italia." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 19 settembre 2013)
"Il nuovo lavoro del filmmaker Rosi nasce da tre anni di vivisezione del Grande Raccordo Anulare alla ricerca dell'identità perduta sulla scia del paesaggista-urbanista Nicolò Bassetti e del compianto Renato Nicolini. Personaggi al limite: l'anguillaro, il nobile piemontese & sua figlia, il principe & la consorte, il palmologo e l'attore di fotoromanzi. Un'umanità che riunisce immaginazione alla realtà in un cinema verité che distrattamente (e non senza colpe) molto pseudo-critica ha definito 'non-film', 'strana ibridazione'. Si tratta di cinema, punto e stop. E se la narrazione talvolta non raggiunge i picchi sublimi di alcuni precedenti dello stesso Rosi ('Below Sea Level' su tutti), questo non sottrae al progetto la sua intima coerenza poetica e forza espressiva. Documento d'arte e di denuncia, a modo suo, di una Capitale in crisi di auto-coscienza." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano, 19 settembre 2013)
"II Grande Raccordo Anulare, autostrada urbana che cinge l'enorme agglomerato romano, è il soggetto unico e al tempo stesso sfuggente di 'Sacro GRA' di Gianfranco Rosi, documentario (ed è una novità) premiato a Venezia con il Leone d'oro. Al seguito di un Lettighiere d'ambulanza che insegue le emergenze, Rosi e la sua camera raccontano una realtà sbriciolata, priva di veri riferimenti, impossibile da riportare ad una unità narrativa. Lungo la tangenziale, accanto a un fiume di automobili che scorre indifferente, stazionano marginali e prostitute, ma non è su di loro che Rosi si sofferma. Più del quadro sociale, gli interessa l'affresco antropologico e procede per campioni significativi allineando una serie di personaggi che nell'eterogeneità condividono però il sentimento della divisione interiore. (...) A chiudere un viaggio disarmato e desolato sul futuro che ci attende Rosi sceglie un lungo colloquio tra il lettighiere e l'anziana madre: l'affetto dell'uomo accarezza i pensieri sconnessi della donna, e, in un lungo piano fisso apparentemente distante come tutti quelli che abbiamo visto fino a quel punto, affiora la commozione. Rosi è un umanista molto discreto e con un tocco da grande regista affida alla sequenza il suo giudizio, intimo e finale. Un grande documentario, un ufo benefico nel cinema italiano." (Luca Mosso, 'La Repubblica Tutto Milano', 19 settembre 2013)
"Piacerà ad un pubblico certamente di nicchia, ma che apprezzerà sicuramente la varia umanità ben assemblata da Rosi. Certo gli spettatori in sala non faranno follie come chi gli ha assegnato il Leone d'Oro a Venezia. Comunque bravo Rosi anche se ci hai fatto venire il magone. Cioè la nostalgia per un tempo in cui il nostro cinema la varia umanità sapeva raccontarla con i modi coinvolgenti della fiction e non tramite un medium «freddo» come il documentario." (Giorgio Carbone, 'Libero', 19 aprile 2013)
"'Sacro Gra', del documentarista Gianfranco Rosi, è addirittura l'incredibile (?) vincitore del Leone d'oro: forse allo spiritoso Bernardo Bertolucci non è parso vero di aver scovato un film più barboso dei suoi. (...) Dunque, 'Sacro Gra' è un documentario formato da una ventina di siparietti attorno al Grande Raccordo Anulare di Roma. Le auto sfrecciano, o restano bloccate dagli ingorghi, come quando nevica. Un vecchio signore dalla lunga barba bianca discetta forbito con la figlia, distratta dal computer. Il barelliere dell'ambulanza torna a casa per chattare e curare l'anziana madre. L'esperto rivela che anche gli insetti delle palme fanno le orge. Il maturo attore si traveste da maggiordomo sul set di un fotoromanzo. E via delirando. Neanche uno sketch da ricordare. Indimenticabili restano solo gli sbadigli." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 19 settembre 2013)