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Un ex prete, don Costantino, viene confinato dalla madre perché non si sappia che si è spretato. Mamma Stella, infatti, ha già un altro scandalo da affrontare: sua figlia Rosa Maria ha lasciato il marito, Arturo, ed è scappata con un misterioso amante. Il vecchio faro in disuso - che appartiene alla famiglia di Costantino e che dovrebbe garantirgli l'isolamento -, attira invece gente come un magnete, trasformandosi via via in un refugium peccatorum. Dopo l'ex prete arriva una ex prostituta, Magnolia. Poi il cognato cornuto, Arturo. Infine una stravagante ditta di ristrutturazioni chiamata per riparare il tetto del faro. In un gioco di rimandi e agnizioni, istruzioni e ristrutturazioni i protagonisti di questa storia disegneranno il loro futuro.
Regia: Rocco Papaleo
Interpreti: Riccardo Scamarcio, Rocco Papaleo, Barbora Bobulova, Sarah Felberbaum, Claudia Potenza, Giuliana Lojodice, Giovanni Esposito
Sceneggiatura: Rocco Papaleo, Valter Lupo
Fotografia: Fabio Zamarion
Montaggio:Christian Lombardi
Durata: 1 ora E 43 minuti
Meno compiutezza per Papaleo, ma la solita piacevole anarchia per un'opera da cui si esce rinfrancati
Brutta storia per un prete amare le donne, ma ancora peggio tornare a una vita normale, lontano dalla canonica e in seno alla famiglia, con mamma manesca, sorella fuggita e cognato cornuto che accompagnano la dipartita dal club del clergyman. Meglio, allora, andare volontariamente al confino, in un vecchio faro in riva al mare. Ma il desiderio di solitudine e introspezione dell’ex pretino viene presto frustrato dal naturale comporsi di una strana comune che cambierà, stavolta davvero, la sua vita.
Dopo Basilicata Coast to Coast, raro esempio di “sleeper” italiano, Rocco Papaleo si cimenta nella sua seconda opera dietro, e anche davanti, la macchina da presa. Un altro film corale, con una nuova armata “Papaleone” dagli altisonanti nomi, da Riccardo Scamarcio a Barbora Bobulova, e ambizioni giustamente più elevate rispetto al fortunato esordio. Purtroppo gli alti obiettivi tarpano le ali a un film dal plot intrigante, ma faticoso, ripetitivo, e che osa meno di quanto avrebbe potuto. Un peccato, perché l’insieme è intrigante e l’ambientazione pugliese in Sardegna (potenza delle Film Commission) riempie da sola gli occhi e il cuore. Sarebbe bastato un pizzico di gioiosa anarchia in più, quella che pervade la pellicola nei suoi momenti migliori, grazie alla poesia di Giovanni Esposito, ristrutturatore circense, e ai duetti Papaleo – Scamarcio, quest’ultimo forse nella sua migliore interpretazione.
Una piccola impresa meridionale vorrebbe essere un ottimista manifesto dell’Italia che ha ancora voglia di sognare ed essere migliore, e in buona parte ci riesce, nonostante un paio di ingenuità che vanno ben oltre l’ottimismo a tutti i costi. Purtroppo non riesce a essere un’opera cinematograficamente compiuta, a cui avrebbero giovato dei tempi più sincopati, davvero jazz come avrebbe voluto Papaleo senza tenere il ritmo, e una sceneggiatura più asciutta. Ma sono pecche su cui si riesce anche a passar sopra, perché alla fine del film ci si sente bene, e talvolta basta questo. (Alessandro De Simone)
"Il difetto sta nel manico, nella voglia di mettere d'accordo commedia e jazz, cioè un genere che ha molte libertà ma ancor più regole (come quella di «far suonare le campane», per dirla con Lubitsch) e una libertà compositiva costruita sul ritmo e sull'improvvisazione. E come in un brano jazzistico, questa 'Piccola impresa meridionale' che Papaleo ha scritto con Valter Lupo ogni tanto imbocca una strada che non t'aspetti, si mette a seguire un personaggio come un sassofonista il suo estro musicale, dimenticando il sentiero segnato e così rischiando di lasciare lo spettatore un po' troppo sorpreso. Lui si aspettava una cosa e se ne ritrova un'altra. Quello che il pubblico poteva aspettarsi dopo la bella sorpresa di 'Basilicata coast to coast' era un'altra commedia-riflessione sul Sud e i suoi temi, fatti di tradizione, cultura e una bella dose di autoironia. E in effetti quei temi ci sono anche nel nuovo film, a dimostrare che sono argomenti che stanno a cuore a Papaleo, interessato evidentemente a presentarsi non solo nei panni della «spalla comica» (come lo hanno utilizzato Pieraccioni, Zalone o Bruno) ma anche come un attore-autore, capace di proseguire in una strada che mescola riflessione e sorrisi, disincanto e sogni. Questa volta, però, non azzecca la «cornice» narrativa, dopo la bella invenzione del film d'esordio che obbligando i protagonisti a cambiare continuamente location li spingeva anche a reagire in maniere sempre diverse di fronte alle cose. In Una piccola impresa meridionale, invece, tutto si svolge di fronte a un unico fondale - un faro abbandonato e una capanna li accanto - e così per movimentare la storia finisce per essere costretto a moltiplicare i personaggi al posto degli ambienti. Rischiando di perdere coesione ed energia. Che qualcosa non funzioni lo si capisce dalle primissime scene, quando la voce fuori campo di don Costantino (interpretato dallo spesso Papaleo) spiega quello che registi più sicuri avrebbero affidato allo sviluppo narrativo. Qui invece è tutto scritto, tutto «recitato», come se ci trovassimo su un palcoscenico teatrale, senza lasciare alla messa in scena il compito di costruire i personaggi e preparaci alle loro interazioni. E' come se ognuno si portasse attaccato un cartello che ne svela qualità e difetti, senza lasciare allo spettatore il piacere di scoprirlo attraverso le loro azioni e reazioni. (...) Come si può facilmente intuire, ogni personaggio avrebbe in sé le potenzialità per reggere da solo il film. Papaleo preferisce giocare d'accumulo, senza privilegiare uno a scapito degli altri, ma finendo così per non calibrare bene il ritmo del racconto, che sembra rimandare continuamente il momento di schiacciare l'acceleratore. Una scena clou, alla fine c'è, coraggiosamente e laicamente anti-convenzionale (allo spettatore il piacere della scoperta), ma ancora una volta dà l'impressione che a Papaleo interessi di più il messaggio ideologico della forma cinema. O che comunque non riesca a fonderli coerentemente insieme. Restano alcune notazioni coraggiose (per esempio sul senso della religiosità personale) e piccoli momenti riflessivi legati alla voglia di remare controcorrente (il che fa solo onore a Papaleo), sviluppati però come fossero destinati a un articolo di fondo piuttosto che all'economia cinematografica. II che finisce per penalizzare anche la prova degli attori, nonostante gli sforzi della Bobulova e della Felberbaum di sopperire con l'energia del corpo agli scivoloni del testo." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 16 ottobre 2013)
"Torna Rocco Papaleo, attore, cantante, regista, uno di quei personaggi che sanno fare tutto, anche andare a Sanremo, senza perdere quell'espressione un po' così che ormai è una seconda pelle. Torna con un secondo film di cui è autore 'totale' (con Valter Lupo cosceneggiatore), 'Una piccola impresa meridionale' (...) e conferma le qualità di 'Basilicata coast to coast' uno di quei film, rari, capaci di mettere d'accordo tutti, nord e sud, est e ovest, critica e pubblico. Ma le conferma veramente? Sì e no. L'abilità a estrarre il meglio dagli attori, il gusto per una leggerezza che non sia vuoto e rassegnazione, la voglia di riscatto per un Sud che ha diritto al sogno, sono sempre quelli. Però molte cose sono cambiate. (...) raccontato con garbo (...) con un sofisticato e trascinante commento jazz di Rita Marcotulli cui si aggiungono due canzoni, dello stesso Papaleo e di Erica Mou, con molte piccole trovate e sottotrame. Ma senza mai trovare un tono deciso e originale che renda il tutto davvero incisivo oltre che gradevole. Come se Papaleo avesse ascoltato Giorgio Colangeli che chiede a suo figlio Scamarcio, musicista jazz, di comporre «musiche più orecchiabili», mettendo da parte lo swing per fare un film fin troppo melodico. Oltre che a tratti un po' ambiguo. Difficile, oggi più che mai, credere a un'escort felice e innocente. Né siamo così sicuri che il denaro non puzzi mai. Anche in una fiaba." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 16 ottobre 2013)
"Sulla simpatia un po' spigolosa di Rocco Papaleo attore ne sappiamo parecchio. Ma come regista è solo all'opera seconda, dopo 'Basilicata coast to coast', debutto un po' squinternato ma non privo di personalità, e non sappiamo bene che cosa aspettarci. Discretamente scombinato è anche questo 'Una piccola impresa meridionale'. Che a un certo punto comincia a perdere la bussola procedendo per quadri, situazioni, sketch frammentari. Ma sempre sprigionando una gran simpatia. (...) Lodevolmente il film evita le soluzioni più banali. Anche se di struttura non proprio impeccabile, contiene un sentimento forte. E non è poco. E Papaleo (inserendosi, per la cronaca, in un Russo ormai abbastanza massiccio di film contenenti storie di omosessualità femminile) ha cercato di dire qualcosa di sinistra ispirato da una forza semplice, con sentimento appunto." (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 16 ottobre 2013)
"La prima volta non si scorda mai. La seconda la si vuole subito dimenticare pensando già alla terza, che non sia la stessa delusione. (...) Rocco Papaleo ha esordito con un piccolo film, 'Basilicata coast to coast', libero, sorprendente e diseguale, un on the road musicale, arioso e ben in equilibrio tra intenzione narrativa e improvvisazione scenica. Nel tentativo di edificare una diversa opera cinematografica, 'Una piccola impresa meridionale' all'opposto è progettuale sin dal titolo. Se l'esordio era erratico e apparentemente casuale, il «seguito» è statico ed intenzionale. Ed è così che il «coast to coast» si è fermato su una scogliera dove campeggia un faro decadente in attesa di ristrutturazione. La metafora edile accompagna il film anche oltre la sua sinossi (...). Rocco Papaleo, coadiuvato alla scrittura da Valter Lupo, cerca con questo film una maggiore solidità, disegnando così una piccola parabola sudista capace a tratti di volare alto e «sposare» le tematiche dell'amore e dei diritti degli omosessuali. Come quella di Basilicata, anche questa impresa è un'armata brancaleone sui generis, qui più composta e prevedibile, come se in loro l'intenzione prevalesse sull'improvvisazione. Bellissima la colonna jazz di Rita Marcotulli." (Dario Zonta, 'L'Unità', 17 ottobre 2013)
"Come Checco Zalone, anche Rocco Papaleo pensa e sogna una commedia, di solito ambientata nel meridione, che tratti con leggerezza e ironia argomenti anche importanti per il paese, come l'omosessualità, l'integrazione, il superamento delle diversità. Ma non c'è niente di gridato, niente di aggressivo, tutto scivola nella realtà con una leggerezza invidiabile per questi anni così pesanti e indigesti. (...) Se il viaggio e la musica erano il collante del precedente film di Papaleo, qua la musica resta, perché Scamarcio suona il piano, ma dietro di lui c'è Rita Marcotulli, e la Bobulova canta, ma il viaggio non esiste più. C'è solo il piacete di stare insieme, capirsi e lasciarsi scorrere la vita addosso. È un po' la piccola filosofia del film e del duo Papaleo-Lupo. Per questo, anche se il film ha non pochi difetti, molte ingenuità, proprio quest'idea del prendere la vita con leggerezza seguendo i nostri desideri riempie i personaggi di una allegria contagiosa, che ci fa scordare le debolezze strutturali del racconto e della messa in scena. E Papaleo fa un ottimo lavoro sugli attori. Chiudendo il suo personaggio in una maschera un po' monocorde da narratore, fa però esplodere la forza di ogni attore con grande generosità per un attore-regista. Così se Giuliana Lojodice è una grande attrice del nostro teatro poco vista al cinema che qui diventa quasi una divinità della commedia, la Bobulova si rivela una comica intelligente e sensibile come in parte avevamo intuito in 'Scialla' Riccardo Scamarcio si muove con eleganza e grazia in un ruolo ingrato, Giovanni Esposito è una maschera eduardiana perfetta, e la coppia Potenza-Felderbaum è assolutamente credibile, umana e sexy. Le risate e gli applausi sinceri che hanno accolto il film all'anteprima stampa, ne rivelano la grazia e l'originalità. I difetti ci sono, ma quella di Papaleo è una strada giusta e civile per la nostra commedia e Arturo Paglia è riuscito a mettergli in piedi un film ancora più solido e ricco del precedente con gran cura per ogni aspetto tecnico. Al pubblico non potrà che piacere." (Marco Giusti, 'Il Manifesto', 17 ottobre 2013)
"(...) la commedia di Rocco Papaleo, 'Una piccola impresa meridionale', assembra tanti siparietti senza incastonarli in una struttura narrativa solida e si concede pretestuose provocazioni in fatto di matrimoni gay."(Alessandra De Luca, 'Avvenire', 17 ottobre 2013)
"Piacerà a chi aveva gradito la prima regia di Papaleo 'Basilicata coast to coast' e troverà una bella conferma nell'opera seconda. Papaleo non sarà Pietro Germi (come magari vorrebbe) ma sa indubbiamente raccontare. E soprattutto mettere brillantemente in scena la sua piccola corte dei miracoli." (Giorgio Carbone, 'Libero', 17 ottobre 2013)
"Nel 2010, 'Basilicata coast to coast' salutò il positivo debutto di Rocco Papaleo come autore e regista cinematografico. Un'opera coraggiosa, con qualche vizio di forma, che si distaccava dall'asfittico panorama italiano del grande schermo. A distanza di tre anni, e con il peso da affrontare dell'esame di un'opera seconda, che tanti presunti talenti ha fatto naufragare, Papaleo si ripresenta nelle sale con il nuovo 'Una piccola impresa meridionale', tratto dal suo romanzo omonimo. Ebbene, non solo l'artista di Lauria riconferma le cose buone viste con il suo film d'esordio, ma mette in mostra, con questa pellicola, il suo innegabile talento e una maturità espressiva più complessa e non usuale. Un bella commedia amara che mette in discussione il concetto tradizionale di famiglia. (...) Una sceneggiatura brillante, un cast che si supera in bravura, una colonna sonora perfetta e un autore, Papaleo, che faremo bene a tenerci stretto." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 17 ottobre 2013)
"Meridionali si nasce, emancipati si diventa. Melting pot geografico sessual culturale con famiglia allargata a destino commerciale. Personaggi curiosi e un po' studiati: il prete spretato in paesino di mare bigotto (Papaleo); il cognato cornuto, pianista jazz refrattario (Scamarcio); la moglie-sorella (Rosa Potenza) scappata con amante lesbica ucraina (la Felberbaum); sua sorella escort di lusso in pensione (Bobulova); la madre del prete, scandalizzata, poi ecumenica (una ritrovata, eccellente Juliana Lojodice), e un'impresa edile con passato circense e bimba a carico. E il faro abbandonato, che ospita la trasformazione umoristica degli inquilini: 'da sparpagliati a vincoli', da difettati ad affettuosi. Commedia sobria e innocua, metafora del bisogno di integrazione sociale e umana." (Silvio Danese, 'Nazione-Carlino-Giorno', 18 ottobre 2013)