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X è un uomo senza identità per scelta da vent’anni: ha deciso di sparire dal mondo, di non avere nome né casa. Lavora per un’organizzazione criminale per cui trasporta cose e persone. Nel viaggio che seguiamo sta portando una ragazza, Nora, da Budapest all’Italia per farla entrare nel mondo della prostituzione d’alto bordo. Si viene a scoprire che è stata presa la ragazza sbagliata e in un primo momento gli viene ordinato di abbandonarla, in un secondo di ucciderla, in caso contrario l’organizzazione dovrà eliminare anche X. X, durante il viaggio, anche se ha fatto di tutto per non interagire con la ragazza, ha conosciuto Nora e la sua avidità nei confronti della vita, atteggiamento esattamente contrario al suo e decide di scambiare la sua vita con quella di Nora.
Regia: Federico Brugia
Interpreti: Sebastiano Filocamo (X), Orsi Toth (Nora), Ben Northoover (Thomas), Malika Ayane, Rocco Siffredi, Mimmo Craig
Sceneggiatura: Federico Brugia, Giovanni Robbiano
Fotografia: Gergely Poharnok
Montaggio: Vilma Conte
Scenografia: Marton Ahg
Musiche: Ferdinando Arnò
Durata: 1 ora e 35 minuti
In sala l'esordio di Brugia: che guarda al noir ma si perde nelle sue stesse atmosfere
Si chiama quasi come il film di Mimmo Calopresti (Preferisco il rumore del mare, 2000), ma non è un film drammatico, l’inizio ricorda Tarantino, ma nulla a che vedere con il Pulp, e sul finale ricorda Soldini, ma non è una commedia, è Tutti i rumori del mare, l’esordio di Federico Brugia, milanese classe 1967. Il protagonista è X (Sebastiano Filocamo), un uomo che ha annullato la propria identità e lavora per un’organizzazione criminale per la quale trasporta merci e persone, in particolare donne da avviare alla prostituzione d’alto bordo. Vive in un albergo abbandonato e la sua vita è scandita da un ordine geometrico maniacale, routine, ricordi dolorosi, Tetris e rapporti con altre esistenze sospese. Ma quando ad X viene chiesto di condurre in Italia Nora (Orsi Tóth), l’incontro con un’umanità più fragile riporta a galla emozioni cui aveva rinunciato e il viaggio da Budapest all’Italia in compagnia della ragazza lo spingerà a mettere in discussione la sua non-esistenza.
Potrebbe essere un noir, tanti sono gli omaggi al cinema di genere francese degli anni ’70, ma poi si perde nel tempo dell’attesa, nelle atmosfere rarefatte e nelle sospensioni. Ambientato in Ungheria, “il migliore dei paesaggi possibili” per rappresentare il limbo esistenziale del protagonista, ricalca in pieno lo stile Brugia, quello dei pluripremiati spot pubblicitari e videoclip che anche qui regala momenti di grande valore estetico, dettagli metafisici, piccoli particolari che descrivono più di mille parole - quelle eccessivamente didascaliche della voce fuori campo - ma che non riescono a comporre un puzzle organico. L’onda di immobilità emotiva dilagante e l’asetticità delle ambientazioni contagiano anche lo spettatore, che fatica a provare un po’ di empatia per l’immobilità impassibile dell’espressione di quell’uomo invisibile che tenta di sciogliere i suoi Grovigli, come canta Malika Ayane nei titoli di coda. (Giulia Iselle)
"Debutto nel lungometraggio di un accreditato regista di 'pub', un film diretto come si deve; ma così ansioso di rigore da diventare penitenziale. A cominciare dal titolo, assai poco seducente e - soprattutto - per il largo spazio dato alla voce narrante del protagonista. Che ricorda abbastanza il Titta Di Girolamo delle 'Conseguenze dell'amore' (il passato misterioso, la mala...): però, a differenza di quello, non la smette di elucubrare su se stesso e sul senso della vita, obbligandoci a rimuginarne con lui." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 26 agosto 2012)