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Un maestro di cerimonie noto come "The Master" è un intellettuale carismatico che guida un’organizzazione religiosa in ascesa nell’America dei primi anni Cinquanta. Al suo fianco Freddie, un ventenne scapestrato che diventa il braccio destro di The Master per poi iniziare a mettere in dubbio il credo e le finalità del culto cui si è avvicinato ed il suo stesso mentore.
Regia: Paul Thomas Anderson
Interpreti: Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Laura Dern, Rami Malek, Jesse Plemons, W. Earl Brown, Kevin O'Connor, Lena Endre, Ambyr Childers
Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson
Fotografia: Mihai Malaimare Jr.
Montaggio: Leslie Jones, Peter McNulty
Musiche: Jonny Greenwood
Durata: 2 ore e 17 minuti
Anderson sulle orme di Kubrick: in 70mm l'epopea di un uomo senza madre e senza padroni. Phoenix e Seymour Hoffman maestosi, in Concorso
Marinaio, alcolizzato e abile inventore di distillati, Freddie Quell (Joaquin Phoenix) torna in patria alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Prova a reintegrarsi, prima come fotografo in un centro commerciale, poi come agricoltore: fuggirà via, da entrambe le situazioni. E si imbarca di nuovo, stavolta - inconsapevolmente - per combattere un nemico più grande di lui, i demoni di un passato che lo hanno reso il disadattato di oggi, solo, senza casa, senza famiglia, tenuto "in vita" dalla convinzione che lì, in Massachusetts, troverà la sedicenne Doris ad aspettarlo.
Sarà rimasto deluso chi, da The Master, attendeva l'attacco frontale a Scientology: il film di Paul Thomas Anderson - per la prima volta a Venezia, in Concorso - è molto di più, pur affrontando la questione dell'affermarsi di una setta ("The Cause"), la "metodologia" del proselitismo e senza evitare il rimando diretto a Hubbard (il fondatore di Scientology), palese con la presentazione di Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman): "Sono uno scrittore, dottore, fisico nucleare, filosofo teoretico, ma soprattutto un uomo". E' lui, su quel barcone, ad "accogliere" il vagabondo ubriacone, ad intuire la possibilità di un "cambiamento", a convincersi di averlo già incontrato "in un'altra vita", a volerne scrutare il subconscio per intraprendere il cammino che da "animale" lo riporti ad essere uomo: Lancaster Dodd è la facciata di un'America (i cui fili, si capirà poi, sono saldamente tenuti dalla moglie "dietro le quinte", Amy Adams) così fortemente radicata sulla centralità dell'uomo, del controllo, del "dominio", da dimenticare quanto sia profondo il solco, il vuoto generato dall'assenza di un'affettività, quella "materna", che l'America stessa non ha evidentemente mai avuto e che Freddie riabbraccia, idealmente, solo sotto forma di enorme donna di sabbia.
E' forse il film più radicale, più intimo di Paul Thomas Anderson, che prosegue sulla strada della magniloquenza visiva (addirittura in 70mm, come I giorni del cielo e, in parte, The New World di Terrence Malick) e, dopo Il petroliere (anche qui la partitura musicale è affidata a Johnny Greenwood), conferma una volta di più di allontanarsi dagli affreschi corali che in passato lo avvicinarono al cinema di Altman. Disorienta per la complessità di un racconto spoglio di qualsiasi "tesi", privo di "scene madri" (non a caso...) e figlio di un controllo talmente maniacale - sì, proprio come quello che accompagnava il mito di Stanley Kubrick - da impedire ulteriori, superflui eccessi alla già esplosiva recitazione di Joaquin Phoenix: "imprevedibile" e spaventoso (quando lo portano in cella, la distruzione del sanitario di porcellana non era prevista dalla sceneggiatura...), rovescio della medaglia dell'apparente, mediatica bonarietà del "maestro-padrone" interpretato da Seymour Hoffman, anche lui enorme. The Master, se si vuole, è allora l'affresco di questa insolita storia d'amore tra due personaggi antitetici, convinti - ognuno a suo modo - di poter cambiare l'altro. Inutilmente. (Valerio Sammarco)
"Onore a due interpreti, inevitabilmente premiati all'ultima Mostra di Venezia, che rischiano però di cannibalizzare il film in cui giganteggiano dal primo all'ultimo fotogramma. Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix danno, infatti, vita nel parimenti aureolato 'The Master' a un incontro-scontro psicologico di tale violenza e intensità da finire col mettere in ombra alcuni riferimenti, tagliare (a furia di spesso indimenticabili assoli) più di un passaggio temporale e moltiplicare eccessivamente i tasselli narrativi; nessuna sorpresa, però, perché Paul Thomas Anderson - da 'Magnolia' a 'Il petroliere' - non ha mai voluto barattare la sua idea di messinscena come transfert compulsivo tra personaggi e Storia con una maggiore affabilità nei confronti del pubblico. 'The Master', comunque, è un film che non si può dimenticare come pure succede nel caso di tanti altri, anche stimabili prodotti ed è destinato a restarti attaccato dentro con un carico di sensazioni che vanno dallo sgradevole all'abbacinante, dal polemico all'enigmatico. (...) Tra sequenze d'incredibile fascino, rifiniture fotografiche e scenografiche raffinatissime, scene madri dense di morboso erotismo represso e amputate di qualsiasi uscita di sicurezza spettacolare e una miriade di sfumature sfuggenti tanto sono lavorate, la visione di 'The Master' finisce con l'assumere essa stessa il valore e la funzione di un trip tra l'utopistico, l'iperrealistico e il trascendentale." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 3 gennaio 2013)
"Siamo all'inizio degli Anni '50, quando Ron Hubbard, il discusso fondatore di Scientology, pubblicò la sua Bibbia 'Dianetics', e non c'è dubbio che il guru mezzo psicoanalista e mezzo imbonitore di 'The Master' ne rievochi la figura. Tuttavia il film di Paul Thomas Anderson va ben oltre la sfera della biografia o della impeccabile ricostruzione d'epoca. Semmai è un altro tassello aggiunto al grande affresco americano che - da 'Magnolia' a 'Il petroliere' - il talentoso cineasta va intessendo da anni con il suo cinema; una pellicola che, pur nella bellezza visiva del suo glorioso formato 70 millimetri, non si preoccupa di sconcertare, inquietare. (...) La fotografia di Mihai Malaimare che svaria dalle penombre agli azzurri accecanti del mare, l'ambientazione, l'incisiva colonna sonora di John Greenwood: tutto contribuisce a un risultato potente, straordinario." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 3 gennaio 2013)
"Paul Thomas Anderson ha un progetto in mente e i suoi film sono il lento comporsi di questa strategia, come pezzi perfetti di un puzzle ancora incompleto. 'The Master' (Leone d'argento all'ultima Mostra di Venezia) è l'ennesimo tassello. Il progetto è raccontare la storia di un paese, gli Stati Uniti d'America, attraverso gli snodi più cupi del suo farsi. Lontano dall'elegia, immergendosi volutamente nella più profonda ambiguità, Anderson è sempre teso a cercare il personaggio più promiscuo a confronto con il suo doppio negativo. In questo senso, 'The Master' segue le stesse orme e la stessa struttura de 'Il petroliere'. (...) Nel raccontare la relazione tra un maestro e il suo allievo all'ombra della nascente organizzazione chiamata «la Causa», 'The Master' è e rimane un film molto enigmatico che avanza per ellissi in un'articolazione narrativa mai consequenziale, ricca di felicissime intuizioni visive, capaci di sintetizzare in una scena o in un'occasione il cuore di un passaggio oscuro, trovando nella nascita delle ideologie religiose anni Cinquanta l'altra faccia del peccato originale americano." (Dario Zonta, 'L'Unità', 3 gennaio 2013)
"Vincitore morale dell'ultima Mostra di Venezia (Leone d'Argento e Coppa Volpi a Phoenix e Hoffman), 'The Master' è il vertice dell'arte di P.T. Anderson: non il didascalico atto d'accusa contro Scientology (evidenti le analogie tra Dodd e L. Ron Hubbard) che qualcuno avrebbe voluto, ma il grande romanzo di un'America dove si può essere solo maestri o allievi, senza alcuna salvezza. Il 2013 al cinema inizia con un capolavoro. Imperdibile." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 3 gennaio 2013)
"II più 'bertolucciano' dei cineasti hollywoodiani cresce ed evolve. E come il suo maestro parmense sgominò le ombre dell'ego a Pechino e in India fino a sfidare la città proibita e il misticismo celibe, così chi per 4 film non si è mosso, autobiograficamente, dalla Los Angeles contemporanea (da 'Hard Eight' a 'Punch-Drunk Love'), negli ultimi due affreschi ambiziosi, 'There Will Be Blood' (Il petroliere) e 'The Master' (raddoppiato nella gigantografia del 70mm), ha osato prendere di petto la storia americana tutta, come scoprì un critico Usa: prima «il corrosivo potere dell'industria (il petrolio) e poi la corrosiva industria del potere (la religione)». Membro della «generazione Betacam», e di attraente originalità 'indiewood', Paul Thomas Anderson, torna, non senza scudisciate di ironia postmodem, all'immagine finemente lavorata e lussuriosa del cosiddetto periodo 'cool' (fighetto), allo schermo dai colori dilatati degli studios anni 60 in questo suo sesto lungometraggio (serio e visionario come 'Greed' o 'The Crowd') una metafora del male contemporaneo tra Huston ('Wise Blood'), Fuller (da 'The Steel Helmet' a 'Shock Corridor') e Tati ('Playtime'), un'analisi delle fondamenta spiritual-materiali del «paese di Dio». (...) 'The Master' (...) analizza le scaturigini delle sette extracristiane, tipo dianetics e succedanei ma, ce lo indica il titolo stesso un po' orientaleggiante, sfiora solo marginalmente i fantascienziati della fede di Hollywood Boulevard. Anche perché i due protagonisti sono troppo 'in stato di grazia': Philip Seymour Hoffman (che il «Willy Loman» di 'Morte di un commesso viaggiatore', portato sulle scene di recente, ha reso ben 'affettato') e Joaquin Phoenix, dalla potenza polimorfica degna di 'Titus'." (Luke Ciannelli, 'Il Manifesto', 3 gennaio 2013)
"Piacerà a chi ama il cinema più del teatro e della letteratura perché da circa un secolo è il cinema il medium che sa meglio raccontare l'uomo e i suoi problemi. Anche se 'The Master' non dà quello che qualcuno (almeno sulla carta) s'aspetta. Il film ha cominciato a circolare con la fama (non del tutto immotivata) di «pamphlet» su Scientology e Dianetics. Il regista Paul Thomas Anderson (un grande, 'Magnolia' e 'Il petroliere') ha negato. Philip Seymour Hoffman pure (che faccia di tolla, per tutto il film non smette mai di imitare Ron Hubbard). Ma bisogna comunque riconoscere che siamo lontani dal livello. Non sono documentati (o comunque son citati en passant) i lati più famigerati del «movimento» amato da Tom Cruise e John Travolta. Ovvero le speculazioni, il giro internazionale di miliardi, le trappole alla buona fede di tanti americani ansiosi di full immersion. No, Scientology e sette apparentate sono solo la tela di fondo di 'The Master' (come i proseliti dell'evangelismo lo erano in un famoso classico 'Il figlio di Giuda'). (...) Che dobbiamo dirvi? Che Paul Anderson è uno dei pochi veri autori del momento, non solo americano (titolare di una sua poetica, e soprattutto della capacità creativa in grado di metterla in cinema?). Lo diciamo, lo diciamo. E prima di smentirci andate a vedere 'The Master'." (Giorgio Carbone, 'Libero', 3 gennaio 2013)
"Sfibrante dramma del trombone patentato Paul Thomas Anderson, sempre pronto ad abbagliare i gonzi (Leone d'argento alla regia), a suon di fumisterie e chiacchiere. È la storia dell'ex marine Joaquin Phoenix che nel '50 diventa l'inconsapevole cavia del guru Philip Seymour Hoffman. Premiati con la Coppa Volpi da una giuria in coma." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 3 gennaio 2013)