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Lao Tie sente in cuor suo di dover trovare chi gli ha ucciso il fratello minore, nonostante i problemi che lo assillano. Dopo anni di lavoro in città è tornato senza un soldo alla sua sperduta comunità di montagna. Sebbene la polizia abbia accertato che l'assassino è l'ex carcerato Xiao Qiang del villaggio vicino, non è riuscita a evitarne la fuga. Lao Tie decide allora di dargli la caccia, intraprendendo un viaggio che darà sfogo alla sua rabbia e sofferenza interiori, a lungo represse.
Film sorpresa al Festival di Venezia 2011.
Regia: Cai Shangjun
Interpreti: Chen Jianbin, Tao Hong, Wu Xiubo
Sceneggiatura: Gu Xiaobai, Cai Shangjun, Gu Zheng
Fotografia: Dong Jinsong
Montaggio: Yang Hongyu
Musiche: Dong Wei, Zhou Jiaojiao
Scenografia: Jia Lisha
L'uomo e la Cina secondo Cai Shangjun: il film a sorpresa del Concorso è il film da Leone d'Oro
Grazie a Mueller. E’ stato sfortunato, ma ci voleva: prima proiezione annullata, seconda interrotta per fumo in sala (cortocircuito di una lampada a infrarossi), ma il film a sorpresa è una sorpresa che vale il Leone.
People Mountain People Sea, opera seconda del cinese Cai Shangjun, è so far il meglio film di Venezia 68, perché riesce a stigmatizzare un Paese esaltando il cinema, elevare l’uomo mostrando le bassezze dell’umanità, piegare lo stile alla messa a fuoco della poetica, piegare la poetica alla salvaguardia della forma.
La struttura è circolare, iterata e insieme ieratica, parte dalla montagna e scende nelle miniere, tallonando on the road il protagonista Tie (Chen Jianbin) sulle tracce dell’assassino del fratello. C’è da subito un problema: queste peripezie in lungo e in largo nell’inferno chiamato Cina sembrano eterodirette dalla volontà di mettere alla gogna le disforie sociali, ambientali e industriali del gigante asiatico. Che, in effetti, ha i piedi d’argilla, purulenti e infetti: non si salva nulla, il tessuto sociale è slabbrato, violentato dalla corruzione (anche la polizia intasca), prostrato dalla violenza familiare, affossato da un lavoro che farebbe ancora oggi di cronaca Dickens.
Inizialmente, anzi, fino quasi ai tre quarti del film, ovvero fino alla miniera del nord illegale – non meglio precisata – a cui Tie arriva, People Mountain People Sea è solo un ottimo, ben girato – inquadrature di puro spaesamento antropico e grande fascino visuale – e ben scritto film a tesi sulla disumanizzazione e sul nonsense della Cina hic et nunc.
La storia di Tie, il suo errare a tratti rabbioso, eppure - quasi sempre, almeno all’apparenza - indifferente all’oggetto sembra solo il vettore di un’analisi geometrica, cartesiana e (fin troppo) lucida. Invece no, il vettore va a fondo nella miniera, e ne riaffiora la sua centralità, la sua ineludibile forza di personaggio e, indi, di uomo: il simbolico tiene, il paradigmatico non molla, ma Tie manda a quel paese la tesi, anzi, l’incorpora, la metabolizza, le dà nome e cognome con una potenza espressiva inaudita.
La potenza del film: la miniera è l’inferno, lui il carnefice e la vittima, ma c’è la salvezza. Una deflagrazione azzera i dubbi critici, e innalza il Cinema: piove nero, ma c’è qualcuno che prende quella pioggia di morte senza bagnarsi. Un giovane, con un braccio spezzato: qualcuno l’ha spezzato, qualcuno l’ha salvato. E mentre tutto crolla, Cai Shangjun spalanca le fauci del Leone. (Federico Pontiggia)