Sabato 12 maggio - Ore 21:00
Domenica 13 maggio - Ore 16:00 e 21:00
Il 20 luglio 2001 l'attenzione della stampa e dell'opinione pubblica è catalizzata dagli scontri tra manifestanti e forze dell'ordine durante il vertice G8 a Genova. Poco prima della mezzanotte, centinaia di poliziotti irrompono nel complesso scolastico Diaz-Pascoli, sede del Genoa Social Forum adibito per l'occasione a dormitorio. Insieme al VII nucleo comandato da Max Flamini ci sono gli agenti della Digos e della mobile, mentre i carabinieri circondano l'isolato. Una volta dentro, le forze dell'ordine colpiscono senza pietà i presenti. Quando Flamini ordina ai suoi di fermarsi, ormai è troppo tardi. Più di 90 persone presenti nella scuola accusano traumi, ferite, percosse, nell'impossibilità di difendersi o di chiedere spiegazioni. Alcuni finiscono in ospedale, altri vengono portati nella caserma di Bolzanetto e da qui, dopo altre sofferenze, accompagnati alla frontiera e espulsi dall'Italia.
Regia: Daniele Vicari
Interpreti: Elio Germano, Claudio Santamaria, Rolando Ravello, Aylin Prandi, Alessandro Roja, Monica Birladeanu, Jennifer Ulrich, Renato Scarpa, Davide Iacopini, Paolo Calabresi, Fabrizio Rongione, Ignazio Oliva
Sceneggiatura: Daniele Vicari, Laura Paolucci
Fotografia: Gherardo Gossi
Montaggio: Benni Atria
Musiche: Teho Teardo
Durata: 2 ore e 7 minuti
Valutazione Pastorale (dal sito della CNVF della Conferenza Episcopale Italiana)
Giudizio: Complesso, violento, dibattiti
Tematiche: Politica-Società; Potere; Storia; Violenza
Si può ricordare che, tra i 93 arrestati nella notte del 21 luglio, 16 erano italiani, 40 tedeschi, e poi altri provenienti da ben 10 Paesi. Dalle dichiarazioni di queste persone è nato il processo Diaz. Furono messi sotto accusa solo 29 poliziotti, che riportarono una condanna per lesioni e calunnia ormai prescritta, e una per falso in atto pubblico, che scadrà nel 2016. Un pagina brutta, triste, dolorosissima. Difficile da raccontare. Dice Vicari: "Abbiamo cercato di trasmettere il senso di spaesamento che tutti coloro che hanno partecipato al G8 ricordano(...)". E poi esprime l'interrogativo centrale: "fino a che punto posso spingermi nella rappresentazione di quella violenza?". Gli sceneggiatori hanno convenuto sulla scelta di privilegiare l'escalation dei poliziotti che infieriscono sui partecipanti inermi: una brutalità tanto più crudele quanto più immotivata, stupida, folle. Nel moltiplicare da più punti di vista l'immagine del poliziotto che infligge colpi di manganello, o di giovani schiacciati dalla paura, il copione sembra sollecitare uno sdegno tutto viscerale, di istinto, di rifiuto, una voglia di risarcimento affidata più all'emotività cha alla ragione. Eppure i fatti sono accaduti, vanno ricordati, affidati ad una Storia che non deve avere paura di mettere avanti colpe anche gravi, e deve dimostrare di saper riflettere per evitare che il peggio si ripeta. Il grande cinema del passato ha detto che per fare denuncia non sempre è necessario far 'vedere' tutto quello che rende la denuncia stessa esemplare e opportuna. Resta così qualche perplessità di fronte ad un film che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come complesso, violento e da rivolgere a dibattiti.
Utilizzazione: il film può essere utilizzato in programmazione ordinaria, in ogni caso tenendo conto delle differenti sensibilità dello spettatore. Da evitare la visione per minori e piccoli, anche in vista di passaggi televisivi o di uso di dvd e di altri strumenti tecnici.
Sembra un action-movie, in realtà è un horror. Vicari rievoca il G8 di Genova con passione civile e qualità cinematografica
Premio del pubblico nella sezione Panorama del festival di Berlino, Diaz farà discutere. Distribuisce la Fandango, anche produttrice: Domenico Procacci ha finanziato il film in piena autonomia, con l’unico apporto di due co-produzioni con Francia e Romania, perché nessuna distribuzione “istituzionale” (01 e Medusa, tanto per capirci) e nessuna televisione statale o privata hanno voluto sporcarsi le mani con un tema politicamente ancora controverso. Ha ragione Daniele Vicari quando sostiene che durante il G8 del 2001, nella scuola Diaz di Genova, c’è stata una sospensione della democrazia (per altro ampiamente denunciata da Amnesty International). Il valore civile del film non è in discussione, ma c’è paradossalmente il rischio che esso metta in ombra le qualità cinematografiche. Che sono importanti, e a volte sorprendenti. Fra le molte cose che Vicari ha dichiarato a Berlino, una ci ha particolarmente colpito. Esprimendo al regista il nostro apprezzamento per il modo efficace con il quale ha gestito e diretto le sequenze d’azione, ci siamo sentiti rispondere: “Sì, apparentemente Diaz è un action-movie, ne ha tutte le caratteristiche: cariche della polizia, irruzioni, pestaggi. Ma la struttura profonda del film è quella di un horror”. È vero: l’action-movie ha dinamiche ben precise in base alle quali la violenza deve avere una giustificazione narrativa, un’attesa, uno sviluppo logico – qualcuno attacca, qualcun altro si difende –, un’esplosione, un climax e poi un’interruzione, spesso catartica; un momento nel quale lo spettatore tira finalmente il fiato. L’horror invece è senza logica: il pericolo arriva da dove meno te lo aspetti e la violenza non ha una progressione realistica. Quella notte, i ragazzi che dormivano nella Diaz hanno vissuto un horror: sono stati attaccati all’improvviso, senza un motivo, senza nessuna provocazione se non quelle costruite ad arte dalla polizia; nessuno si aspettava la violenza, nessuno aveva la possibilità di fermarla. Difendersi era impossibile. Tutti hanno dovuto solo attendere che i poliziotti si stancassero, o smettessero di picchiare per qualche motivo del tutto irrazionale (come l’ufficiale, interpretato da Claudio Santamaria, che dice addirittura “I’m sorry” a una ragazza massacrata dalle manganellate).
Questa natura di fondo del film si fonde con una struttura narrativa che Vicari paragona a Rapina a mano armata di Kubrick: prima ci mostra il progressivo avvicinarsi alla Diaz dei vari personaggi, poi l’irruzione della polizia con relativo massacro, per tornare indietro nel tempo, mostrarci le autorità impegnate nella preparazione del blitz e arrivare poi al giorno dopo, alle torture di Bolzaneto, alle conseguenze umane e psichiche di quella notte in cui la democrazia si è fermata. Il risultato è un film potente e lucido, in cui lo spettatore viene prima schiantato dalla violenza che si dipana sullo schermo, e poi è invitato a valutarne criticamente il significato politico. Diaz è una scommessa cinematografica vinta alla grande. Forse qualche personaggio poteva avere uno sviluppo maggiore (Elio Germano sembra un po’ sprecato per una figura di giornalista tutto sommato marginale), ma qui contano altre cose: la coralità, la dinamica, l’azione, la violenza e le motivazioni politiche che l’hanno provocata. (Alberto Crespi)
"Fortissimo l'effetto del film sulle violenze del 2001 a Genova. Anche se non contiene speciali rivelazioni, e se la vicinanza temporale e l'abbondanza di documentazione e testimonianze dovrebbero rendere gli spettatori preparati. Malgrado tutto il cinema resta una potenza. Con una scelta di stile che non si concede licenze, non nasconde e anzi mette ben in evidenza che si sta parlando di cose vere, ma da un lato spinge molto sull'azione, la velocità, il ritmo narrativo, e dall'altro usa la convenzione che umanizza il racconto nel seguire un gruppo di singole vicende (...)." (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 13 aprile 2012)
"Parliamo di un'esperienza molto cruda, una sorta di pugno nello stomaco che non lascia vie di fuga agli spettatori non inclini ai film semi-documentaristici a trazione integrale di denuncia. Si può dire, peraltro, che il regista Daniele Vicari si dimostra abile nel gestire il ritmo della propria (re)visione apocalittica e nel ricostruire relativi sfondi, scontri e sadismi sul filo di un'emotiva e frenetica verosimiglianza. 'Diaz - Non pulire questo sangue' è, insomma, un saggio di cinema, come si diceva una volta, poetico-politico molto più coerente e moderno di 'Romanzo di una strage' che, grazie alla sua impostazione da fiction tv rimpinzata di personaggi in fotocopia dalla storia, ha fatto proprio ieri il pieno di nomination ai David di Donatello. (...) A Vicari interessa fare quello che sa fare e cioè produrre choc a tutto schermo, accelerare o rallentare lo sguardo della cinepresa, spaccare i protagonisti tra buoni, semibuoni, cattivi e cattivissimi e farsi paladino dei giovanilistici furori che, fatti salvi pochi «se» e ancora meno «ma», avrebbero in fondo sempre ragione. (...) Da una parte Vicari si libera dalle fumisterie complottiste, dall'altra rinuncia ad approfondire il perché degli opposti comportamenti scatenati dal panico come dalla rabbia. Su una cosa, però, può stare tranquillo: se i fatti di Genova gettarono un'ombra sulla democrazia, hanno provveduto a diradarla non solo la normale dialettica giudiziaria e la garanzia delle personalità super partes come il presidente Napolitano, ma anche il fatto che si sia potuto fare un film, come il suo, costosissimo, promozionatissimo e lodatissimo." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 13 aprile 2012)
"Un tempo si diceva Armando Diaz e si pensava al generale della Vittoria nella Grande Guerra, ma dal 21 luglio 2001 quel nome rievoca fatti che si vorrebbe non fossero mai avvenuti. (...) A dare eco a quell'intervento di «macelleria messicana» avvenuto in conclusione del G8 di Genova sono stati dunque anche i giornali stranieri; e ricordiamo l'articolo di Nick Davies sul «The Guardian» del luglio 2008, dove si constatava amaramente come, a processo ultimato, «giustizia non era stata fatta». In effetti, persino i colpevoli riconosciuti tali sono rimasti impuniti e nessuno si è preoccupato di indagare sulle responsabilità ai livelli alti della politica. Non lo fa neppure il film di Daniele Vicari che, in base alle numerose testimonianze visive e verbali esistenti, si limita a ripercorrere quelle tragiche ore intrecciando le storie di un gruppetto di pacifici no-global, in contrasto agli opposti vandalismi dei Black Bloc, scusante ufficiale dell'esplodere di tanta violenza da parte delle forze dell'ordine. Chiaro che, a fronte dei vergognosi massacri perpetrati alla 'Diaz' e proseguiti a freddo i giorni seguenti nella caserma di Bolzaneto, per il regista (come per tutti noi) la scusa non regge. E tuttavia, a dispetto del suo indulgere in certi estetismi, il film non ha l'incisività che potrebbe: dal punto di vista formale non sembra abbastanza elaborato e da quello drammaturgico resta sospeso in un limbo fra cronaca e fiction." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 13 aprile 2012)
"Le pagine agghiaccianti si susseguono, con asciutti preamboli per illustrare e spiegare, ed esplodono in tutta fa loro forza tendendo in modo diretto a dimostrare che quei feriti, quegli arrestati, quegli incolpati di aggressioni e di rivolte sono senza colpe, le colpe, semmai, essendo da ricercarsi nel disegno della polizia di dare esempi cruenti, anche, per farlo, falsificando prove. Una costruzione corale. In mezzo però delle facce, dei problemi dei singoli, anche di poliziotti non sempre dalla parte dei cattivi, collegati tutti al dramma collettivo di quegli assalti immotivati e così aspri da rasentare la «macelleria», come osserva proprio un poliziotto non del tutto fra i peggiori. Gli dà volto con tratti sinceri Claudio Santamaria, ma gli si possono incontrare al fianco anche Elio Germano, Renato Scarpa, Mattia Sbragia. Insieme con uno stuolo di interpreti d'ogni nazione pronti ad esprimersi nei propri idiomi per metter ancor più l'accento sulla pluralità linguistica di quelle vittime." ('Il Tempo Roma', 13 aprile 2012)
"Dopo 'Romanzo di una strage' su Piazza Fontana arriva sui nostri schermi un altro film destinato a fare discutere. A dire il vero la miccia è già stata accesa. 'Diaz - Non pulire questo sangue' di Daniele Vicari, ambientato durante il G8 di Genova. (...) Vicari, che ci scaraventa in quella tragedia con immagini nervose da reportage, realizza quasi una sorta di documentario. Le cose che vediamo sullo schermo sono accadute davvero nella realtà, e questo non dobbiamo dimenticarlo. Ma a dieci anni da quei fatti già documentati dai media la semplice ricostruzione della 'macelleria messicana' non basta. Ciò di cui si avverte la mancanza nel film è proprio lo sguardo del regista capace di far riflettere su ciò che mostra. Perché è proprio la ricerca di questo sguardo che separa il cinema dalla tv e da internet e che spinge lo spettatore a frequentare le sale invece di starsene davanti alle immagini di You Tube." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 13 aprile 2012)
"Delle violenze che devastarono Genova, c'è poco o niente. Una piccolissima parte rispetto alla durata della pellicola. Per carità, niente e nessuno può giustificare quello che è avvenuto nella Diaz. Proprio per questo, però, per evitare film preconcetti, sarebbe stato più corretto mostrare le due facce della medaglia, fidandosi un po' di più del giudizio dello spettatore. Così, invece, si ottiene l'effetto voluto di indignazione verso chi ha disonorato la divisa ma dimenticandosi di tutto il resto. Occasione sprecata." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 13 aprile 2012)
"A Daniele Vicari l'etichetta di cinema civile non piace, eppure le ricadute civili di 'Diaz' ci sono. Tre i meriti fondamentali: ricordare «la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la II Guerra Mondiale», consumata tra la scuola Diaz e la caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001, su cui è caduto un colpevole oblio; dopo quello sulle stragi di Stato, inaugurare - speriamo - un filone sull'orrore di Stato, capace di 'fare giustizia' laddove potrebbe non esserci in aula; sotto il profilo cinematografico tout court, firmare un film decisamente popolare, puntando sulle emozioni - il pugno allo stomaco dell'assalto della polizia alla Diaz - e trovando insieme al genere horror anche il Salò di Pasolini con le torture a Bolzaneto. Il premio del pubblico a Berlino attesta questa tensione popolare, e fa ben sperare per un analogo esito in Italia: a differenza di 'Romanzo di una strage' su Piazza Fontana, Vicari non racconta, non costruisce teorie, semplicemente, mostra i fatti meno - anzi, per niente - filmati di uno degli eventi, il G8, più filmati al mondo. E riguadagna al cinema di finzione una capacità documentale e documentaria che il documentario stesso non può avere." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 12 aprile 2012)