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Departures

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Scioltasi l'orchestra nella quale suonava il violoncello, il giovane Daigo insieme alla moglie Mika lascia Tokio e si trasferisce in campagna. Qui, letto un annuncio per un lavoro di aiutante, si presenta e, dopo appena uno sguardo, Sasaki, titolare dell'agenzia, lo assume. A questo punto Daigo scopre che il suo lavoro avrà a che fare con la preparazione cerimoniale dei corpi prima della cremazione. Alla moglie, Daigo dice che il suo compito riguarda l'allestimento di cerimonie e intanto comincia a viaggiare nella regione e a fare esperienze del tutto impreviste. Quando Mika scopre la verità, gli chiede di lasciare quell'incarico e, di fronte al suo rifiuto, lascia la casa per tornare a Tokio. In realtà Daigo, incerto e titubante all'inizio, ora capisce l'importanza di quel lavoro di 'preparazione' ed é ben deciso a non rinunciare. Sul finire dell'inverno, la mamma di un suo carissimo amico muore; la moglie ritorna e lui riceve la notizia della scomparsa del padre, con il quale non si vedeva più da almeno 30 anni e che ora può riabbracciare. Mika inoltre é incinta e la prospettiva di diventare a sua volta padre porta a Daigo gioia e commozione.

Regia: Yojiro Takita

Sceneggiatura: Kundo Koyama

Fotografia: Takeshi Hamada

Montaggio: Akimasa Kawashima

Musiche: Joe Hisaishi

Masahiro Motoki (Daigo Kobayashi), Tsutomu Yamazaki (Shouei Sasaki), Ryoko Hirosue (Mika Kobayashi), Kimiko Yo (Yuriko Uemura), Takashi Sasano (Shokichi Hirata), Kazuko Yoshiyuki (Tsuyako Yamashita).

Durata: 2 ore e 5 minuti

Sito ufficiale: www.departures-themovie.com

Departures

 Biglietti esselunga Vieni al cinema alla domenica sera - a Casatenovo costa meno Prendi sei e paghi cinque - Tessere a scalare

 

Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)

Giudizio: Raccomandabile/poetico *

Tematiche: Famiglia - genitori figli; Metafore del nostro tempo; Morte; Solidarietà-Amore; Tematiche religiose

 In giapponese si chiama "nokanshi", ossia preparatore di corpi (lavarli, vestirli, truccarli, profumarli) per una ditta di pompe funebri. Si tratta di un rito che richiede molta grazia, una cerimonia fatta di piccoli gesti e di movimenti leggiadri: in Giappone un culto millenario, fuori un qualcosa da conoscere, capire, apprezzare. Mettendo al centro della storia un tema arduo come quello della morte, il copione lo svolge in un'ottica del tutto originale e, per più motivi, imprevedibile: perché Daigo, il protagonista, cresce a poco a poco nella consapevolezza di un lavoro scelto all'inizio per caso e quasi controvoglia; perché l'impegno ad onorare il defunto e a rispettare il dolore dei congiunti diventa lezione di vita per se stesso e la propria situazione; perché il mistero della morte del corpo diventa viatico per una maggiore apertura verso il rispetto della vita e l'equilibrio tra la natura e l'essere umano. Pur lavorando su nobili e antiche tradizioni nazionali, il regista riesce a comporre uno spartito dal respiro ampio e senza limiti geografici, unendo la musica che il giovane suona e che all'inizio perde (la chiusura dell'orchestra) a quella dell'aria e degli spazi, del volgere delle stagioni, del dipanarsi dei sentimenti: raggiungendo momenti di impalpabile umanità dentro una vita vissuta nella pienezza degli affetti. Parabola delicata e toccante, il film si segnala per la capacità di dire cose importanti con tono piano e quasi colloquiale, mai urlato né polemico e, dal punto di vista pastorale, é da valutare come raccomandabile e certamente poetico.

Utilizzazione: il film é da utilizzare in programmazione ordinaria e in seguito in molte occasioni come prodotto di alta qualità in grado di coniugare belle immagini e tematiche di forte spessore.

 

cinematografo.it - Fondazione ente dello spettacolo ***** Ironia ed emozione per una riflessione non banale sul senso della morte. Premiata con l’Oscar

I morti hanno cessato di esistere, diceva Baudrillard. Esiliati da una cultura ossessionata dal mito dei corpi giovani. La morte non è mai un bello spettacolo, quando non si fa spettacolo. A riguardo il cinema - morte al lavoro - continua a fornirci spunti, canovacci, esempi. Succede anche nel bel film di Yojiro Takita, Departures, imperniato attorno a un cerimoniere di riti funebri e vincitore, miglior straniero, dell’Oscar 2008 (quello che, a detta di molti italiani, fu scippato a Gomorra).

Vi si affronta la tanatoprassi. Senza omissis, però con pudore. Sfiorando il grottesco, toccando il sacro. In equilibrio tra ironia e partecipazione. Un andante con brio (per fluidità, montaggio, architettura narrativa) pervaso da spirito di trascendenza orientale. Quindi eleganza formale, grazia nei gesti, corrispondenze tra musiche e rituali (il protagonista è anche violoncellista). Con qualche sottotesto e minuto di troppo (il legame col padre). Vaga necrofilia e autentica pietà (evocata da una dolente esecuzione dell’Ave Maria di Gounod). Una riflessione non banale sull’osmosi di vivere e morire. Sulla soglia che li unisce e li separa, rendendo pari dignità. Sul mistero che consente ai vivi di guarire nella cura dei morti. (Gianluca Arnone)

 

La Critica

"'Departures', il film del regista giapponese Yojiro Takita, è tanto bello quanto politicamente scorretto. Osa parlare della morte in una società che tenta in ogni modo di allontanarla dall'orizzonte umano. Uno scandalo, dunque, in un mondo alla ricerca della ricetta dell'eterna giovinezza, che vorrebbe trasformare persino la vecchiaia in malattia e come tale curarla. Per questo è parsa decisamente coraggiosa la scelta dei giurati dell'Academy Awards di premiare lo scorso anno 'Departures' con l'Oscar come miglior film straniero avendo in lizza pellicole importanti come 'La classe' (Palma d'oro a Cannes) e 'Valzer con Bashir' (Golden globe). Coraggiosa come la decisione di Takita di girare un film in cui la vera protagonista fosse la morte, mostrata attraverso la cerimonia di preparazione dei cadaveri che, nel culto nipponico dei defunti, assume un valore simbolico e religioso profondo e sconosciuto a noi occidentali. Il regista - apprezzato in patria e noto all'estero per storie di magia e samurai ambientate in epoche antiche - con 'Departures' cambia decisamente registro. E lo fa utilizzando lo stile rarefatto del cinema d'autore giapponese, capace di trasformare la poesia in immagini, mostrando una realtà fatta di emozioni appena espresse, di un'introspezione che racconta la profondità dei sentimenti. In questo caso i sentimenti contrastanti del protagonista, Daigo, giovane violoncellista che, dopo lo scioglimento dell'orchestra in cui suona, torna con la moglie nella sua cittadina natale per cercare un nuovo lavoro. (...) Non senza momenti di humour e situazioni comiche, talvolta surreali ma mai irriguardose, 'Departures' è un film delicato, di struggente poesia, a tratti commovente. Attraverso la bellezza di un rituale antico, elegante e rispettoso, la morte riacquista dignità. E in qualche modo viene riaccostata alla realtà dell'uomo, alla quale pure appartiene indissolubilmente, nonostante tutti i tentativi di esorcizzarla. Nella sacralità del rito quell'ultimo saluto, per mezzo del quale si riavvicina il più possibile il defunto ai suoi cari, si rivela anche come l'estremo spazio non solo per esprimere gratitudine per il dono di una vita, ma anche per una riconciliazione sincera, necessaria seppur tardiva. Così in quella ricomposizione di un corpo ormai esanime finiscono per ricomporsi anche affetti ed esistenze. Una regia misurata, sorretta da una sceneggiatura mai banale e da una recitazione sempre credibile, fanno di questo film un piccolo capolavoro fuori dagli schemi, che affronta con intelligenza e sensibilità un tema difficile, scomodo. Un film che rischiava di rimanere lontano dalle sale italiane e che invece sarà possibile vedere dal 9 aprile grazie alla piccola società di distribuzione Tucker Film, alla quale bisogna riconoscere non poco coraggio." (Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano', 2 aprile 2010)

"Una storia di solitudine e dignità: giusto l'Oscar 2009 come film non americano". (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 9 aprile 2010)

"Motoki, (Daigo è una rock-star) che ha maneggiato sul set un libro di riti funebri secolari, le musiche originali di Joe Hisaishi (l'orecchio di Miyazaki) e il monte Fuji controllano dall'alto che nulla diventi ne troppo classico, ne melenso ne exotico. Perfino il passatismo... Ecco 'Departures' ('Partenze'), tragicommedia macabra che strappò a 'Bashir' l'Oscar 2009, diretta da Yojiro Takita, 55 anni. Dopo 40 film il tocco del regista di Toyama, colleziona premi, trionfando (10 oscar giapponesi) con questo film, elogio della cosmesi, del trucco, e dunque del cinema, uscito, colpa della crisi, dopo 13 mesi dalla realizzazione." (Roberto Silvestri, 'Il Manifesto', 9 aprile 2010)

"Impianto classico nelle riprese, nei paesaggi (l'innevato nord-est del Giappone) e nelle musiche (di Joe Hsaishi, lo stesso di molti lavori di Miyazaki). La bellezza è tutta nella delicatezza con cui si affronta il tema eterno, l'ultimo grande tabù delle nostre civiltà (quella occidentale e anche quella giapponese. Ma non per quella indiana), la morte. Yojiro Takita, proprio dopo un viaggio in India, conduce lo spettatore in questo delicato viaggio dalla vita alla morte, attraverso il cancello della vestizione del cadavere e della sua esposizione, fondamentale per l'elaborazione del lutto di chi lo ha amato in vita. (...) 'Departures' ('Partenze') è il film giusto per cercare di riconciliarsi con il nostro destino di mortali, l'unico che davvero tutti condividiamo con certezza e che meriterebbe più amorevolezza e meno rifiuto e oblio. Ogni gesto della vestizione per il giovane 'nokanshi' Daigo è una carezza per chi se ne sta andando, ogni sfibramento, la richiesta di un ultimo contatto. E poi le mani calde sui volti freddi, per spazzare via anche l'ultima ombra delle fatiche terrene. Poi la chiusura della bara e il fuoco che tutto purifica, riportando a nudo l'unica essenza eterna: l'amore che abbiamo dato e quello che abbiamo ricevuto. Per il resto, come dice nel film il funzionario dell'inceneritore, non si tratta d'altro che di scavalcare un cancello e dirsi addio." (Roberta Ronconi, 'Liberazione', 9 aprile 2010)

"Il titolo significa, né più né meno. 'decessi'. Dipartite. Morti, Si poteva forse tradurlo dall'inglese, visto che il film è giapponese e si intitola, in originale, 'Okuribito'. Ma non importa. Importa molto, invece, che questo notevole film esca in Italia per iniziativa del Cec di Udine e di Cinemazero di Pordenone che da anni organizzano in Friuli l'imprescindibile Far East Festival, dove il film è passato. 'Departures' ha vinto l'Oscar 2009 come miglior film'straniero, davanti al superfavorito israeliano 'Valzer con Bashir'. È un film che parla di morte in modo sereno. Il protagonista è un violoncellista che, licenziato da un'orchestra di Tokyo, trova lavoro in provincia come 'nokanshi', antica e toccante professione che consiste nell''acconciare' i cadaveri prima della sepoltura. Tanti sono i temi che il film propone: il contrasto città/provincia e modernità/tradizione, l'accettazione della morte come estremo momento della vita, l'essenzialità del Rito nella cultura giapponese. Non senza momenti ironici, che gli hanno valso in patria un incasso pari a oltre 60 milioni di dollari. Vi sorprenderà." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 9 aprile 2010)

Quello che... non abbiamo fatto - I film della stagione 2010 / 2011


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