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A Montreal, convocati alla morte della madre Narwal dal notaio Lebel per la lettura del testamento, i gemelli Jeanne e Simon Marwan si vedono consegnare due lettere da recapitare al padre, che credevano morto, e a un fratello di cui ignoravano l'esistenza. Simon é più reticente, Jeanne invece parte subito per il Medio Oriente, da dove era arrivata la mamma, e comincia una difficile ricerca che porta a una imprevedibile scoperta.
Regia: Denis Villeneuve
Sceneggiatura: Denis Villeneuve, Valérie Beaugrand Champagne
Montaggio: Monique Dartonne
Musiche: Grégoire Hetzel
Durata: 2h 10'
Lubna Azabal (Nawal Marwan), Mélissa Désormeaux Poulin (Jeanne Marwan), Maxime Gaudette (Simon Marwan), Rémy Girard (notaio Jean Lebel).
Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)
Giudizio: Consigliabile/problematico/dibattiti
Tematiche: carcere, donna, famiglia-genitori figli, guerra, politica-società, storia, violenza
All'origine "Incendies" é un opera teatrale, scritta da Wajdi Mouawad e andata in scena in Francia il 14 marzo 2003 e in Quebec il 23 maggio dello stesso anno. In seguito è stata rappresentata in altri otto paesi tra cui l'Italia. Dal Canada nei teatri di guerra, si potrebbe dire. L'ambientazione in Medio Oriente resta volutamente generica: non si fanno mai nomi espliciti di luoghi e Paesi ma i conflitti che hanno incendiato quelle zone rappresentano un tragico scenario da cui deriva tutto il resto. Il testo, e il copione, partono infatti dalla grande Storia, quella che va sui giornali e in televisione, per discendere al livello della microstoria, quella spesso silenziosa di cui nessuno viene a conoscenza. Così a poco a poco il conflitto dai campi di battaglia si sposta sui terreni dell'individuo, sulle ferite inferte al corpo e, di più, all'anima. I sentimenti violentati, gli affetti manipolati arrivano in primo piano a ricordarci come la guerra lasci vittime non solo sul campo ma anche dopo, a distanza di anni. Su situazioni che potrebbero sfociare in rancore e odio, la 'donna che canta' affida agli altri, ai figli, lettere che invece invitano al perdono e alla speranza. Muovendosi con abilità tra presente e flashback, la regia scandisce un dramma palpitante e commosso, che cerca di arrivare con misura e ragione alla rivelazione finale. Benissimo interpretato, il film coinvolge e fa riflettere e, dal punto di vista pastorale, é da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione: il film può essere utilizzato in programmazione ordinaria. L'intensità della storia e la durezza della conclusione inducono a prestare attenzione per la presenza di minori e bambini.
Memoria come ricostruzione di senso e rinascita: affresco potente e doloroso firmato Villeneuve
Ad un anno da Polytechnique, il canadese Denis Villeneuve torna a intrecciare la storia individuale a quella collettiva, traendo ispirazione dall'omonima pièce di Wajdi Mouawad. Alla morte della madre, i gemelli Marwan ricevono un insolito testamento e due lettere da consegnare ai destinatari. Una per il padre che credevano morto, l'altra per un fratello che non hanno mai conosciuto. Dal Canada in cui è vissuta fin da bambina, Jeanne parte subito per il Medio Oriente delle sue origini - diretta ad un paese non meglio precisato - alla ricerca di quei segreti seppelliti per anni. Prima da sola, poi insieme al fratello Simon, la ragazza percorrerà a ritroso le tappe di una vicenda che ha dell'incredibile. In cui la figura della madre assume i contorni mitici di una donna coraggiosa e fuori dagli schemi. Una donna vittima e, al tempo stesso, carnefice del conflitto arabo-israeliano: giornalista prima, attivista poi e infine prigioniera politica per quindici anni. In un doloroso pellegrinaggio - costellato di luoghi e volti eredi delle atrocità della guerra - i due gemelli porteranno a galla un passato di violenza e di vendetta, che si ripercuoterà, inevitabilmente, sulle loro esistenze. Un passato che li costringerà a fare i conti con un odio genetico, trovando sollievo solo nel perdono.
Come pezzi di un puzzle, gli eventi si intersecano in un montaggio parallelo incalzante. Dove i sentimenti contrastanti dei personaggi si riflettono nelle immagini, alternando momenti crudi ed impietosi ad altri delicati e consolatori. E a fare da raccordo tra le inquadrature, gli sguardi dei protagonisti - che spiegano e risolvono - e quelli della macchina da presa, che indaga e spia, soprattutto quando nega allo spettatore. Fino all'epilogo catartico: in cui la memoria diviene ricostruzione di senso e l'accettazione di un dolore atavico, una rinascita.
Incendies colpisce dritto al cuore, lasciando senza fiato, fino al bagliore di luce finale. Che restituisce dignità all'umanità e alla vita. (Valeria Francardi)
"Ancora i Radiohead in un film al Lido dopo la colonna sonora del loro bassista Johnny Greenwood per 'Norvegian Wood'. Ancora la guerra in Medio Oriente vista dal punto di vista di una donna come in 'Miral'di Schnabel. Eppure 'Incendies' di Danis Villeneuve (Giornata degli Autori) è superiore rispetto ai titoli citati. (...) Finale con devastante colpo di scena che rimane nella testa, per sempre. Che ci fa un filmone così fuori dal Concorso?" (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 4 settembre 2010)
"Violenza, orrore e drammatiche scoperte si susseguono in una storia tratta dalla pièce teatrale di Wajidi Mouawad, ma a vincere sono il perdono e la speranza." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 3 settembre 2010)
"'Incendies', tratto dall'omonima pièce teatrale di Wajidi Mouawad, ha invece una sceneggiatura di ferro che, attraverso una struttura da tragedia classica, riesce a catturare lo spettatore dal primo momento." (Gabriella Gallozzi, 'L'Unità', 12 settembre 2010)
"Indefinibile il cotesto (genericamente mediorientale) per volontà dell'autore che non vuole parlare di una guerra, ma della guerra. La visione ci costringe a passare - con una forza straordinaria da risultare spesso insostenibile - per l'inferno dell'odio che in modo lapidario in una frase che la stessa Nawal pronuncia durante ai suoi patimenti: 'Voglio insegnare al mio nemico quello che ho imparato dalla vita'." (Roberta Ronconi, 'Liberazione', 9 settembre 2010)
"Un film molto duro e bello, ma fin troppo scritto." (Dario Zonta, 'L'Unità', 21 gennaio 2011)
"La morte può essere un inizio, dice il notaio: infatti è di lì a poco che parte la storia. (...) 'La donna che canta' di Denis Villeneuve è intessuto come un affascinante viaggio avanti e indietro nel tempo e nello spazio, strutturato in capitoli ognuno dei quali svela un sorprendente pezzo del puzzle. Considerato che il racconto si affida alla suggestione dei luoghi, dei paesaggi, dei volti più che alla parole, non viene da pensare, come invece è, che il film si ispira a una pièce teatrale. (...) I temi sono dunque quelli dell'esilio e della guerra, ma ad emergere è il cosmico orrore di una violenza fratricida che ne ingenera altra in un crescendo che incide pesantemente sui destini individuali: con le colpe che ricadono di padre in figlio fino alla catarsi finale, come nella tragedia greca. C'è un senso di sacralità nel film di Villeneuve, per il modo in cui restituisce importanza alta alla responsabilità morale. Un risultato al quale contribuiscono interpreti di grande intensità, da Lubna Azabal a Rema Girard." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 21 gennaio 2011)
"L'ammirevole film di Denis Villeneuve, altro nome da segnarsi, evita però le trappole del genere per trascinarci con sguardo fermo in un gorgo di orrori e rivelazioni che lasciano senza fiato personaggi e spettatori. Svelarli sarebbe un delitto; basti dire (...)che la chiave di questa vicenda familiare contorta come una tragedia greca sta nella spirale inarrestabile di odii e rappresaglie che insanguina il Libano (ma il discorso vale per qualsiasi guerra). Villeneuve non ci risparmia nulla ma non calca la mano, non specula su violenza e atrocità, anzi trova sempre la giusta distanza. Insistendo sui segni che il tempo ha lasciato sul paese e sui personaggi. E su una cornice intellettuale - Jeanne è una matematica di talento - che rende ancora più crudele quel caos ingovernabile. Altro che 'trucchi da cinema d'azione' dunque, come ha sentenziato qualche facilone! Siamo su un terreno altissimo, capace di unire sangue e astrazione, il tumulto dei corpi e il lavorio incessante dell'intelligenza e della pietà. Un film da non perdere, oltre che un modello per il cinema di oggi, 'politico' proprio perché capace di trascendere la sua materia." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 21 gennaio 2011)
"Non fatevi depistare né dal titolo poco eccitante, anche se sarebbe stato più giusto 'La donna che canta da cani', né dalla lentezza della prima parte. (...) Non uscite dunque a metà, perché quando tutti i tasselli del complicato mosaico vanno al loro posto, il film prende quota con un'intensità davvero rara. E tenete a mente la protagonista, Lubna Azabal: magnifica." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 21 gennaio 2011)
"Scordatevi il melenso 'Miral' di Julian Schnabel, dimenticate l'illustrativo 'I fiori di Kirkuk', anche qui il Medio Oriente ¿ non meglio precisato, si cerca il paradigma ¿ è donna, ma non ci sono carezze poetiche né buffetti estetici: la donna che canta piange pure, la violenza regna, l'orrore trova il formato famiglia. (...) Picchia duro, anche a effetto, 'Incendies', ma brucia davvero. (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 21 gennaio 2011)
Quello che... non abbiamo fatto - I film della stagione 2010 / 2011