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L'uomo che verrà

L'uomo che verrà

Cineforum 2011 - L'uomo che verrà

Inverno, 1943. Martina, unica figlia di una povera famiglia di contadini, ha 8 anni e vive alle pendici di Monte Sole. Anni prima ha perso un fratellino di pochi giorni e da allora ha smesso di parlare. La mamma rimane nuovamente incinta e Martina vive nell'attesa del bambino che nascerà, mentre la guerra man mano si avvicina e la vita diventa sempre più difficile, stretti fra le brigate partigiane del comandante Lupo e l'avanzare dei nazisti. Nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1944 il bambino viene finalmente alla luce. Quasi contemporaneamente le SS scatenano nella zona un rastrellamento senza precedenti, che passerà alla storia come la strage di Marzabotto.

In concorso al Festival Internazionale del Film di Roma 2009.

Regia Giorgio Diritti
Sceneggiatura Giorgio Diritti
  Giovanni Galavotti
  Tania Pedroni
   
Fotografia Roberto Cimatti
Montaggio Giorgio Diritti
  Paolo Marzoni
Musiche Marco Biscarini
  Daniele Furlati
Durata 1h 57'

Alba Rohrwacher Maya Sansa
Claudio Casadio Greta Zuccheri Montanari
Stefano Bicocchi Eleonora Mazzoni
Orfeo Orlando Diego Pagotto
Tom Sommerlatte Bernardo Bolognesi
Stefano Croci Zoello Gilli
Germano Maccioni Timo Jacobs
Thaddaeus Meilinger Francesco Modugno
Maria Grazia Naldi Laura Pizzirani
Frank Schmalz Raffaele Zabban

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Valutazione Pastorale (dal sito dell'Associazione Cattolica Esercenti Cinema - ACEC)

Giudizio: Raccomandabile/problematico ***

Tematiche: Bambini, Famiglia, Guerra, Storia

Sulla ferocia delle SS, sul sacrificio di tanti civili inermi, sulle vittime della seconda guerra mondiale, il cinema italiano ha già scritto pagine importanti e giuste. Il merito quindi di questo secondo LM di Diritti é quello di riuscire a raccontare un episodio conosciuto come se fosse la prima volta. L'operazione é perciò opportuna e necessaria. Soprattutto per i più giovani, a rischio di "non conoscenza" dei fatti e quindi condotti a partecipare quasi in prima persona. La sensibilità storica del regista si fonde con quella antropologica e umana. Di quella civiltà contadina, dedita a seguire i ritmi della terra, si sentono i sapori e gli odori (secondo la lezione di Olmi); di quella vita modesta e intensa si avverte il forte orgoglio; di quell'andare incontro alla morte si percepisce l'affranto fremito di innocenza. Senza gridare né fare proclami, lo sguardo di Diritti si posa con tono visionario sul calvario dei protagonisti e ci chiede di essere con loro anche nella preghiera e nel riscatto. E nella speranza offerta dalla vita che nasce dopo l'orribile strage. Dal punto di vista pastorale, il film é da valutare come raccomandabile e certo problematico.

Utilizzazione: il film é da utilizzare in programmazione ordinaria e in seguito in molte circostanze come opera di testimonianza, di memoria, e occasione per parlare di storia italiana.

 

cinematografo.it - Fondazione ente dello spettacolo ***** Diritti racconta con estremo rigore stilistico e morale la strage di Marzabotto. In un film civile, non politico, premiato a Roma

Non era facile raccontare l'immonda carneficina di Marzabotto senza scivolare nel sentimentalismo e nella retorica, nel manicheismo e nell'effetto. Giorgio Diritti vi è riuscito realizzando con L'uomo che verrà un'opera densa, profondamente morale, di cordoglio e insieme di testimonianza, commovente senza mai essere ricattatoria. Un corpo estraneo non solo nel concorso romano - dove si è aggiudicato il Gran Premio della Giuria Marc'Aurelio d'argento, il Marc'Aurelio d'Oro del pubblico al miglior film, e il Premio speciale "La Meglio Gioventù" - ma nel modesto panorama italiano (incredibile che Venezia non l'abbia voluto in gara), da cui si differenzia per il coraggio nelle proprie scelte e per la fiducia nel cinema.

Armato ancora di digitale - che la bella fotografia di Cimatti trasforma in "pellicola" - il regista bolognese si accosta con pudore - quasi con distacco - a una famiglia di contadini che vive alle pendici di Monte Sole (una frazione di Marzabotto), pedinandone i giorni e gli stati d'animo, la quotidianità in tempo di guerra. Il film inizia nell'inverno del 1943. L'Italia è spaccata in due. Sud con gli alleati, Centro-Nord sotto i tedeschi. Le campagne emiliane sono terra di nessuno, tra incursioni SS e scorribande partigiane. I contadini continuano la loro vita fuori dal tempo e soggetta alla Storia, ai suoi capricci. La prima parte de L'uomo che verrà è pura lezione olmiana, un Albero degli zoccoli in tempo di guerra. Una pagina di antropologia rurale strappata dalle visioni poetiche di una bambina di otto anni - alla quale il film affida progressivamente il punto di vista - sbigottita di fronte alle vigliaccate degli uomini, i piccoli orrori (ed è un accenno premonitore l'incontro con un pedofilo, maschera dell'abisso umano), l'incanto delle stagioni (incantevole la sequenza notturna con le lucciole), il miracolo di una vita che cresce nella pancia della madre e l'enigma di un'altra spezzata chissà come, da chi e perché.

Diritti ci lega alla bambina a doppia mandata: la sua è l'innocenza della terra, estranea alle guerre degli uomini; ma è anche l'ingenuità delle nuove generazioni, digiuni di storia e di sofferenze: il pubblico. L'uso dei campi lunghi nell'ampia parte introduttiva è correlato al grado di consapevolezza, nostro e dei protagonisti: più si avvicina la tragedia, più si restringe il campo (fino ai primi piani), e meno riusciamo a vedere, a capire l'orrore. Operazione linguistica e sinestetica: la bambina perde la voce, il padre le parole, l'orrore non si può dire né ascoltare.

La nascita del bambino coincide con la morte dell'umanità: simbolica - quella dei tedeschi - e reale - i 770 abitanti di Monte Sole mandati a morte dai nazisti. La narrazione si fa convulsa, crudele ma non cruda. Diritti satura il quadro ma lascia sangue e oltraggio fuoricampo, non perde mai il controllo, supportato dai suoi bravi attori (tra la Rohrwacher e la Sansa la reginetta è però la bambina, Greta Zuccheri Montanari). E non smarrisce la bussola morale: il male non è il frutto di un'astratta corruzione dell'uomo ma delle responsabilità di ogni cultura: "Siamo la nostra educazione", ribatte un ufficiale tedesco a un prete. Ed è qui l'unico forte ammonimento politico di un film che si sottrae per altri versi a ogni misera querelle nostrana. L'uomo che verrà è il figlio di ogni paese, dell'Italia di allora e di oggi, di destra e di sinistra, in guerra e in pace. (Gianluca Arnone)

Quello che... non abbiamo fatto - I film della stagione 2009 / 2010


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